Ritratto di un papa futuro: politica e finanze

di Vito Sibilio

PREMESSA

Ci sono molti autori che hanno espresso le
loro idee sulla Chiesa e sul Papato, mediante la finzione letteraria. Il Santo
o I sandali di Pietro sono tra le più famose delle loro opere, mentre di
recente The Young Pope o The New Pope hanno reso il genere, a cavallo tra
letteratura e cinema, assai popolare. Anche io proverò a fare lo stesso.

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Quel che segue è tratto dalla voce “Giovanni
Paolo III”, a cura di Lothar Von Sybel, dell’Enciclopedia Cattolica, vol. XLV,
Città del Vaticano- Metropolis della Luna, LEV- Edizioni del Mare della
Tranquillità, 2223.

La politica

Giovanni Paolo III espresse i principi dottrinali sottesi alla politica della Chiesa nell’enciclica Tu es Petrus e li ribadì nelle sue Lettere che, annualmente, inviò al Cardinale Segretario di Stato, nelle quali tracciava le linee programmatiche immediate dell’azione politica della Santa Sede. Il Papa affermò che la Chiesa faceva politica solo per la sua Libertas. Il che implicò uno sforzo costante per ottenere uno statuto giuridico definito per i cattolici in quanto tali in ogni stato del mondo, mediante concordati, accordi e modus vivendi. Il risultato di questo impegno si vide alla fine del suo Papato, quando tutti gli stati avevano un accordo diplomatico con la Santa Sede sullo status della Chiesa, quale ceto dei fedeli e vera società. Il Papa modulò il suo impegno laddove c’erano governi che perseguitavano la religione cattolica, o dove c’erano situazioni di anarchia o di terrorismo che rendevano impossibile la vita religiosa. Nel primo caso, sostenne energicamente le opposizioni interne ed esterne, prese accordi con potenze terze per rovesciare i governi persecutori e, all’occorrenza, diede il suo appoggio anche alle nazioni che erano in guerra con gli stati nemici della Chiesa, reputando lecito l’intervento militare contro i nemici di Cristo e legittima e meritoria la difesa dei cristiani dai loro avversari, specie se terroristi. Nella sua agenda segreta, l’abbattimento dei regimi comunisti, quello delle dittature teocratiche, quello dei regimi nazionalisti fu al primo posto. Cina, Corea del Nord, Vietnam, Laos, Birmania, Nepal, Venezuela, Nicaragua, Cuba, Eritrea, Sudan, Mauritania, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Iran, Afghanistan, Uzbekistan, Brunei vennero “liberati” col suo contributo decisivo. Libia, Algeria, Mali, Egitto, Niger, Ciad, Sudan del Sud, Somalia, Centrafrica, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Camerun, Siria, Irak, Libano, Filippine furono “pacificati” anche col suo appoggio. Tunisia, Algeria, Etiopia, Sudafrica, Turchia, Azerbajigian, Pakistan, Thailandia, Indonesia, Malaysia, Sri Lanka, Messico ebbero cambiamenti legislativi favorevoli ai cristiani grazie alla sua alleanza con le opposizioni locali. Il Papa inoltre si impegnò molto per il rafforzamento del potere statale nei paesi africani e latinoamericani, onde avere in esso un interlocutore stabile per la sicurezza della Chiesa. Laddove poi, in seguito alle unioni tra le Chiese o alla cristianizzazione dei paesi già islamici, Giovanni Paolo III si trovò innanzi al sistema delle Chiese di stato o alla possibilità di erigerle, non si ritrasse e lo approvò, fermo restante che le Chiese latine e sottoposte alla Santa Sede dovevano avere uno statuto concordato tra essa e lo stato, oltre al fatto che la fonte della legge ecclesiastica era il Papato e non lo stato. Furono successi particolarmente significativi i concordati con la Francia, la Gran Bretagna, gli USA, il Canada, l’Australia, la Russia, l’India, la Cina, il Giappone, nonché quelli cumulativi con l’Unione europea e quella Euroasiatica. Molti concordati esistenti vennero rifatti in versioni più favorevoli alla Chiesa. Nei paesi federali o confederali il Papa stipulò concordati con moltissimi dei singoli stati federati e confederati, a fronte di quelli stretti coi governi centrali.

Giovanni Paolo III ribadì il diritto della Chiesa alla potestas directa vel indirecta in temporalibus, ma puntualizzò che tale potestas si basava sul riconoscimento delle coscienze, per cui nella situazione contemporanea la Chiesa poteva ambire solo alla potestas indirecta, nel quadro delle società pluraliste e basandosi sulla spontanea obbedienza dei cattolici e della loro alleanza con gli uomini di buona volontà. Gli obiettivi di questa potestas erano quelli tradizionali, ossia pro bono animarum e ratione peccati, ma egli vi aggiunse quelli positivi della difesa dei diritti naturali e sovrannaturali dell’uomo e di Dio, nonché la diffusione dei principi della civiltà cristiana.  I mezzi adoperati furono i partiti e i sindacati cattolici o almeno cristiani, ovunque promossi. Laddove i cristiani fossero troppo pochi, il Papa favorì partiti e sindacati legati al personalismo politico filosofico. In genere, preferì appoggiarsi ai partiti centristi, promuovendo l’ingresso in essi dei cattolici. In subordine, li fece distribuire tra tutte le forze politiche, ribadendo la condanna di liberalismo, radicalismo, socialismo, comunismo, fascismo, nazismo e mondialismo, nonché di collettivismo e capitalismo, mentre espresse la sua approvazione per il corporativismo. Nei paesi tradizionalmente non cristiani o non cattolici, il Papa si appoggiò alle forze progressiste per promuovere i diritti delle minoranze, ossia anche dei battezzati. In quelli cristiani e cattolici, Giovanni Paolo III si resse su quelle conservatrici, per mantenere i principi del Cristianesimo. Gli obiettivi finali erano il riconoscimento del Cattolicesimo come religione di Stato, laddove i cattolici fossero almeno maggioranza relativa, e la stesura di Costituzioni cristiane o almeno personaliste. Alla fine del suo Papato, il Cattolicesimo era religione di Stato in centoventi paesi e novantacinque stati avevano una costituzione cristiana.

Il Pontefice sviluppò una relazione strettissima con l’Internazionale Democristiana e volle che anche i sindacati cristiani, sia padronali che dei lavoratori, si coordinassero a livello mondiale. Volle che i Presidenti delle Internazionali sia partitica che sindacale sedessero nell’Unione politico culturale dell’Opera dei Congressi del Laicato Cattolico e che i Presidenti e i Segretari dei Partiti e dei Sindacati cattolici di ogni ordine e grado sedessero nelle Unioni corrispettive delle Opere, ossia diocesane provinciali regionali e nazionali. Il Papa accreditò un osservatore permanente, col rango di Nunzio Apostolico, sia presso l’Internazionale Democristiana che presso l’Internazionale Sindacale Cristiana. Alla fine persuase le due organizzazioni a fondersi.

Altro mezzo adoperato per la promozione della presenza cattolica in politica fu la fondazione dei Comitati Civici parrocchiali, diocesani, metropolitani, regionali e nazionali, assicurando la loro indipendenza operativa dalla Chiesa ma riconoscendoli solo se fossero fedeli alla dottrina sociale, facendone approvare i Presidenti dagli Ordinari competenti. Il loro scopo era quello di formare politicamente, socialmente ed economicamente i fedeli e, in sostanza, di indirizzarne il voto. La Federazione Mondale dei Comitati Civici Cattolici venne dal Papa riconosciuta e fatta partecipare alle attività dell’Opera dei Congressi, esattamente come aveva fatto per i Partiti e i Sindacati, e si riservò di approvarne il Presidente. Accanto ai Comitati, il Papa volle che nascessero veri e propri bracci secolari in politica dei principali movimenti laicali cattolici, indipendenti ma connessi ad essi. Ne ebbero, tra gli altri, l’Azione Cattolica Internazionale, Comunione e Liberazione, l’Opus Dei. Inoltre, implementò al massimo la formazione dei cattolici alla dottrina sociale, estendendo a tutte le Chiese nazionali la pratica italiana delle Settimane Sociali e rafforzandole con congressi, convegni, seminari, incontri, conferenze e giornate sociali nelle varie circoscrizioni ecclesiastiche, secondo un piano prestabilito.

Un ulteriore mezzo adoperato per la presenza politica dei cattolici fu la cosiddetta “fraternità bianca”, sulla quale siamo stati edotti dalla documentazione emersa dall’Archivio Vaticano solo dopo molte decadi la morte del Pontefice. In ogni nazione vennero organizzate delle Associazioni, riservate ma legali, che riunivano il fior fiore della politica, dell’economia, della cultura, della società cattolica laica, perché promuovessero la presenza dei cattolici nella vita pubblica. Esse avevano delle sezioni e a loro volta dipendevano da Associazioni continentali, coperte da ancor più riservatezza. Il vertice, l’Associazione Mondiale, avendo sede in Vaticano, era praticamente sconosciuta all’opinione pubblica. Questa rete, denominata “Cattolici Organizzati Cooperanti” (COC), fu la grande risposta cattolica alla massoneria, la cui influenza il Papa voleva debellare nella società e della quale ribadì la condanna.

Giovanni Paolo III, al di là di questo, ebbe una strategia articolata, per cercare di promuovere quelle che per lui erano le condizioni ottimali per lo sviluppo della Chiesa. Alieno sia dal mondialismo che dal nazionalismo, ripropose l’universalismo e sostenne il multipolarismo. Filotedesco, stemperò questo suo sentimento nell’ambito di un europeismo popolare; slavofilo, coltivò relazioni eccellenti con Polonia e Russia; terzomondista, predilesse l’Africa; filoarabo, ebbe ottimi rapporti con Israele. Contrario all’egemonia americana sul mondo, da lui considerata pericolosa per l’indipendenza della Chiesa, sostenne il multipolarismo avvicinandosi ai BRICS e incoraggiandone l’espansione, ma senza coltivare sentimenti sinofili. Le grandi potenze vennero trattate dal Papa con sagacia. Gli USA furono suoi alleati contro la Cina comunista e contro i fondamentalisti islamici, ma in essi sostenne energicamente i Repubblicani contro i Democratici e allertò i Presidenti della minaccia costituita dall’oligarchia finanziaria dominante, spingendoli a ridimensionarla. La Gran Bretagna fu trattata alla stessa maniera e in essa il Pontefice predilesse i Conservatori. I buoni rapporti con Londra furono importanti per l’unione con gli Anglicani. In Francia il Papa sostenne le destre e il centro, contro il laicismo dominante, ma cercò la partnership di Parigi per questioni delicate della vita della Chiesa nei paesi francofoni. In Germania si oppose energicamente alla secolarizzazione, ma supportò l’egemonia tedesca come mezzo per tenere unite le regioni europee, spingendo Berlino ad abbandonare liberismo e monetarismo. Si oppose alla secolarizzazione promossa dall’Unione Europea. Il Papa chiese e ottenne l’appoggio della Russia all’unione delle Chiese e si affidò a lei per proteggere le missioni e le Chiese del Medio Oriente. Giovanni Paolo III non esitò a rompere con la Cina comunista che non rispettava gli accordi ecclesiastici, mentre chiese e ottenne in India una maggiore considerazione dei diritti dei cristiani, avvicinandosi ai partiti progressisti. Il Papa censurò l’eccessivo laicismo del Canada e dell’Australia, appoggiandosi localmente ai Conservatori, mentre chiese i buoni uffici di Giappone, Brasile e Sudafrica per la tutela dei cristiani dei rispettivi continenti. Protestò anche efficacemente contro la deriva fondamentalista di alcuni settori della società di Israele, alleandosi alle sinistre locali.             In genere, il Papa non esitò a censurare i paesi islamici, comunisti e dittatoriali che non rispettavano i diritti dei cristiani e calpestavano gli accordi presi. A questi atteggiamenti di fondo aggiunse ponderate strategie geopolitiche.

Promosse un neoeuropeismo, in cui le nazioni del Vecchio Continente si confederassero e ponessero alla base della giurisprudenza i principi del personalismo e del Cattolicesimo. Si fece sostenitore di un ordine continentale basato sull’intesa tra Italia, Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Svezia; perciò non solo propugnò il rientro di Londra nella Confederazione, ma anche il suo allargamento a tutte le nazioni balcaniche e del Northern e persino alla Turchia, quando essa si convertì al Cristianesimo; inoltre seguì con attenzione le vicende interne dei vari stati europei e specie di quelli maggiori, facendo sentire il suo parere nelle questioni più delicate, anche se non religiose. Così, propugnò la semi indipendenza della Catalogna, l’indipendenza dei Paesi Baschi, della Groenlandia e della Scozia in monarchia associata con Spagna, Danimarca e Inghilterra, l’indipendenza della Corsica, la cessione di Gibilterra alla Spagna, l’ordinamento federale di Francia, Gran Bretagna, Bosnia, Macedonia, Romania, Svezia, Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia, Cechia e Italia, la cessione dell’Ulster all’Irlanda, la restituzione di Nizza Savoia Istria e Dalmazia all’Italia, di Slesia Pomerania Schleswig Hollstein alla Germania, di Polesia e Volinia alla Polonia, il trasferimento della Transilvania all’Ungheria, della Rutenia subcarpatica alla Slovacchia, della Bucovina alla Romania, della Dobrugia alla Bulgaria, della Tracia alla Grecia, l’unione del Kosovo alla Serbia e della Moldavia alla Romania, la riunificazione di Cipro, la cessione della Grande Armenia all’Armenia, la sovranità nominale del Gran Maestro dello SMOM su Malta, quella esclusiva del Vescovo di Urgel su Andorra e l’indipendenza del Curdistan. Si propose e fu accettato con successo come arbitro in molte di queste controversie. Nell’attenzione alle questioni dei paesi non cattolici il Papa cercava uno strumento per ottenere l’appoggio dei popoli e dei governi alla sua politica di unione ecclesiastica tra le Chiese. Quando, a causa del migrazionismo selvaggio dell’inizio del XXI sec., in molti stati europei (Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Svezia) cominciarono guerre civili [L’autore immagina che la presenza di milioni di allogeni non cristiani in Europa abbia provocato molti conflitti civili], il Papa sostenne energicamente i cattolici e, dinanzi all’esaurirsi delle potenzialità dei regimi esistenti, egli patrocinò svolte istituzionali, come il rafforzamento dei poteri dei Re o la restaurazione delle monarchie, anche laddove non erano avvenute lotte civili (Francia, Austria e Germania in duplice monarchia, Ungheria, Boemia, Croazia, Serbia, Romania, Bulgaria, Grecia, Portogallo), favorendo i grandi casati cattolici (Borbone, Asburgo in quattro rami diversi, Braganza) e tradizionali (Hoenzollern di Romania, Sassonia Coburgo di Bulgaria, Karageorgevitch di Serbia, Baviera di Grecia).

Il Papa sostenne energicamente un eurasiatismo che ricostruisse di fatto lo spazio sovietico esteso alla Mongolia, all’Iran, al Curdistan e all’Afghanistan, per una Confederazione di Stati i cui principi giurisprudenziali fossero ispirati al personalismo e in cui il peso determinante della Russia fosse bilanciato dall’Ucraina, dalla Georgia, dal Kazakhistan e dall’Iran. Anche in questo ambito geopolitico, ma con maggior discrezione, seguì le questioni base e si propose come mediatore, venendo accettato. Sostenne la cessione dei territori russi e russofoni dell’Ucraina alla Russia ma anche il diritto di Kiev di mantenere lo sbocco al mare, l’ordinamento federale dell’Ucraina degli stati caucasici e di quelli asiatici centrali compreso l’Afghanistan, la restituzione del Nagorno Karabach all’Armenia, dell’Azerbajigian iraniano a Baku, la cessione della Finno Carelia alla Finlandia. Il suo appoggio di fatto alla politica russa servì a facilitare l’unione delle Chiese e la diffusione del Cristianesimo in ampie zone di cultura islamica. Sostenne discretamente la causa della restaurazione monarchica in Russia, Bielorussia e Ucraina con tre rami diversi dei Romanov, considerandolo un modo di consolidare il legame tra la Chiesa Cattolica e quella Russa oramai unita a Roma.

Giovanni Paolo III si fece sostenitore di un panarabismo laico e confederale, che permettesse, come poi avvenne, al Cristianesimo di avanzare liberamente nell’Africa del Nord e in Medio Oriente. In questo scacchiere, volle ardentemente la pacificazione della Libia, della Siria, dell’Irak, del Libano e dello Yemen; la sconfitta degli jihadisti in Algeria, dei salafiti in Egitto; il rovesciamento dei wahabiti in Arabia Saudita, Kuwait e Bahrein e la loro sostituzione con la dinastia hashemita; la cessione dei territori curdi dell’Irak e della Siria all’erigendo stato di quel popolo. Interpellato e propostosi come mediatore, il Papa disinnescò anche il rischio di un conflitto tra Iran e Turchia. L’attenzione del Pontefice al mondo arabo lo rese ben disposto sia all’unione delle Chiese che all’evangelizzazione, oltre che alla cessazione di tante misure restrittive per i cristiani. Secondo il Papa, i perni del panarabismo dovevano essere Egitto, Siria, Irak e Algeria.

Nel delicatissimo settore palestinese, il Pontefice propose e alla fine vide realizzare una Unione Gerosolimitana, formata dagli Stati di Israele e di Palestina, dallo Stato della Città di Gerusalemme – che ne ospitava le capitali – e dall’Autorità dei Luoghi Cristiani di Terrasanta, retta da un Consiglio dei rappresentanti delle Chiese di Palestina. Egli propugnò l’associazione di Israele alla Confederazione Europea e della Palestina a quella Araba. Si impegnò moltissimo per la pacificazione della regione, ottenendo ampi successi dopo la conversione dei palestinesi e di molti ebrei.

Giovanni Paolo fu anche molto attento alle questioni africane, dove sostenne energicamente un panafricanismo confederale e personalista, incentrato sul Sudafrica, su di un Congo riunificato, sull’Etiopia, sulla Nigeria, sul Senegal, sulla Costa d’Avorio, sul Ghana, sulla Guinea di Conakry e su uno Stato sahariano allargato. Per realizzarlo, impegnò la Chiesa contro ogni afromarxismo e contro ogni nazionalismo tribalista, ma anche contro la penetrazione dei salafiti nel continente. Il Papa mediò con profitto tra Darfur e Sudan per l’indipendenza del primo, tra Algeria Mali e Niger per lo status dei Tuaregh e tra Mauritania e Sahara Occidentale per la revisione dei confini, tra le fazioni del Sudan del Sud, tra quelle della Somalia, del Ciad, della Repubblica Democratica del Congo, del Centrafrica, del Sudafrica, tra Madagascar e Mozambico, mentre si fece promotore degli interventi militari antiterroristici non solo nei paesi in guerra civile dove aveva mediato, ma anche in Niger, Mali, Nigeria, Camerun e Burkina Faso. Sostenne la lotta del Kenya, della Tanzania, dell’Uganda, del Ghana, di Capo Verde, delle Comore contro i fondamentalisti islamici. Sostenne altresì l’indipendenza del Sahara Occidentale sotto un principe marocchino, la confederazione dell’Eritrea all’Etiopia e di Gibuti alla Somalia, nonché la riunificazione del Somaliland con Mogadiscio. Caldeggiò l’unione di Centrafrica, Congo di Brazzaville, Congo di Kinshasha e Zambia, quella di Senegal, Capo Verde e Gambia, quella di Gabon, Sao Tome e Principe e Guinea Equatoriale, quella di Madagascar, Seychelles, Mauritius e Comore, quella di Guinea di Conakry Guinea di Bissau e Sierra Leone, quella di Mauritania Mali Niger Burkina Faso Ciad, quella di Mozambico e Malawi e quella di Sudafrica Lesotho e Swaziland, mentre propose il ridisegnamento dei confini di Ruanda e Burundi. Promosse la fine delle dittature in tutti i paesi africani e il loro ordinamento federale o confederale su base etnica. Si adoperò per prevenire le guerre civili incipienti in Ghana, Liberia, Costa d’Avorio, Gabon, Zimbabwe e Malawi. Sostenne l’indipendenza di Mayotte, Reunion, Sant’Elena e Ascensione. Infine, diede il suo beneplacito all’azzeramento del debito degli stati africani e alla nazionalizzazione delle imprese straniere in Africa, mentre propugnò un allentamento dei vincoli degli stati africani del Commonwealth con Londra e della CFA con Parigi per liberarli dal neocolonialismo. L’impegno profuso dal Pontefice a favore dell’Africa favorì moltissimo sia l’unione delle Chiese che l’evangelizzazione del continente.

La visione politica che il Papa ebbe dell’America Latina fu neobolivarista. Il mito della Patria Grande, ovviamente cattolica e personalista, venne sostenuto da Giovanni Paolo III fino a che non si concretizzò in una Confederazione di tutti gli stati latinoamericani, incentrata su Messico, Colombia, Venezuela, Brasile, Perù, Cile e Argentina e depurata da ogni cattocomunismo, neomarxismo, narcomarxismo e nazionalismo autoritario, nonché liberata dal neocolonialismo americano. Giovanni Paolo III mediò attivamente tra Perù e Brasile, sostenne l’unificazione tra Haiti e Repubblica Dominicana, l’indipendenza di Porto Rico, la federazione degli stati insulari delle Piccole Antille, l’indipendenza di Montserrat Guadalupe San Martino Martinica Aruba e delle Cayman, quella della Cayenna, la federazione degli stati della Guyana. Benedisse esplicitamente le operazioni militari per liberare quelle regioni interne dominate dalle narcomafie e per debellare i terroristi neomarxisti e approvò sia l’azzeramento del debito che la nazionalizzazione delle imprese straniere. Promosse un mercato comune tra la Spagna, il Portogallo e le loro ex colonie. Si adoperò per il consolidamento democratico dei paesi del Mesoamerica e della fascia andina. Censurò il peronismo e il falangismo. L’impegno profuso dal Papa per la promozione sociale e culturale latinoamericana accrebbe enormemente il prestigio della Chiesa e facilitò la nuova evangelizzazione.

Il contegno di Giovanni Paolo III verso gli USA fu ambivalente e stemperato nel quadro del pananglosassonismo. Infatti egli spinse perché gli USA si allargassero al Canada, all’Australia e alla Nuova Zelanda, anche per compensare i primi dell’erosione del loro impero esterno. Si fece mediatore, riservato e discreto, tra Washington e Mosca prima e Pechino, caduto il comunismo, dopo. Conoscendo la complessità del potere globalista, Giovanni Paolo III tenne relazioni diplomatiche costanti con il Council of Foreign Relations, il Royal Institute of International Affairs, la Trilateral Commission, la Round Table e il Bilderberg Group, ma – specie grazie alla “fraternità bianca” – promosse un coordinamento dei cattolici in questi organismi, facendo capire quanto potesse essere utile per loro fare blocco distinto dalla finanza anglosassone e da quella ebraica. Fu così che, su suo impulso, nacquero, come organismi privati, una serie di strutture di raccordo parallele a quelle mondialiste, capaci di appoggiarsi ad esse e a quelle dei BRICS, pur vivendo di vita propria. Il pananglosassonismo venne declinato dal Papa anche come confederazione degli USA allargati coi microstati dell’Oceania, basata, ancora una volta, sulle tradizioni cristiane e sul personalismo.

La più azzardata delle strategie geopolitiche del Vaticano fu l’estasiatismo, inteso come modello confederale di tutto l’Estremo Oriente e dell’India, considerandola piattaforma per l’espansione del Cristianesimo e per il ridimensionamento del nazionalismo indù, del fondamentalismo islamico e del comunismo, nonché per la diffusione del personalismo anche in quel continente. I paesi perno dovevano essere la Cina postcomunista, il Giappone, l’India e l’Indonesia. Il Papa sostenne la riunificazione di Pakistan, India, Bangla Desh, Maldive e Ceylon. Intervenne discretamente per la soluzione dei problemi dei Sikh e dei Tamil. Patrocinò l’indipendenza del Sikkim. Intervenne per la riunificazione della Cina continentale con quella insulare e per un suo ordinamento federale. Diede il suo appoggio all’indipendenza del Tibet. Patrocinò una rapida unificazione della Corea dopo la caduta del comunismo. Mediò tra il Vietnam e il Laos e tra questi e la Birmania, nonché tra Indonesia e Papua Nuova Guinea.

In genere, per le grandi aree geopolitiche da lui patrocinate, il Papa sostenne il diritto all’egemonia locale sia in campo militare che economico, ponendo fine ad alleanze anacronistiche transcontinentali.

Giovanni Paolo III rinnovò la fiducia della Chiesa nelle Nazioni Unite e negli organismi collegati, ma sostenne la necessità di una loro profonda riforma, abolendo anacronistici privilegi delle nazioni vincitrici della II Guerra Mondiale. Frenò però sull’ipotesi di un governo mondiale e sulla gestione planetaria delle emergenze, vere o presunte, che scavalcasse le sovranità locali.

Una menzione particolare merita la politica papale verso l’Italia, nazione considerata il giardino della Chiesa o, meno romanticamente, a sovranità limitata, per garantire la piena libertà della Santa Sede. Favorendo la creazione di tre grandi partiti cattolici, che occupassero lo spazio del centro, della destra e della sinistra, il Pontefice si assicurò l’ininterrotta presenza dei cattolici al potere. La Costituzione venne riscritta in senso cristiano, il Cattolicesimo ritornò religione di stato e i Patti Lateranensi vennero rivisti in senso più favorevole alla Chiesa. Essi poi vennero inseriti anche nella Costituzione della Confederazione Europea. Giovanni Paolo III ebbe cura che i posti chiave dei governi italiani, le presidenze delle camere e quella della repubblica fossero sempre assegnati a persone vicine alla Chiesa. Non fu indifferente all’amministrazione comunale di Roma, a quella del suo territorio metropolitano e a quello della regione Lazio, che volle fossero sempre saldamente in mano a gruppi e partiti vicini al Vaticano. La sicurezza dell’Italia coincideva con quella del Vaticano, per cui esso promosse gli interessi italiani in Albania, Macedonia, Montenegro, Libia, Malta, Tunisia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia e Grecia. Il Pontefice poi si oppose al progetto di restaurazione monarchica in Italia, sulla scia del ritorno di quella forma di governo in tanti paesi vicini, perché riteneva che un Re a Roma avrebbe finito per confliggere con il Papato.

In questa multiforme attività, Giovanni Paolo III si servì della diplomazia vaticana, da lui portata al massimo splendore. La Pontificia Accademia Ecclesiastica fu da lui potenziata e i ranghi della diplomazia ecclesiastica furono aperti anche a laici disposti a diventare prelati di mantelletta. Con la costituzione apostolica Praecones Petri il Pontefice riorganizzò le Nunziature, le Delegazioni e le Internunziature Apostoliche. In prima battuta, unì molte Nunziature e fondò molte Internunziature per risparmiare. In un secondo momento, cresciute le risorse umane e finanziarie, aumentate le esigenze pastorali, le Nunziature furono divise e ne furono fondate di nuovo. I titolari rimasero sempre ecclesiastici, ma gli officiali maggiori e minori delle Nunziature potevano essere prelati di mantelletta o anche laici e laiche purché consacrati. Il Papa sottolineò con forza che il Nunzio era innanzitutto il suo rappresentante presso la Chiesa locale e poi presso il governo. Concesse ai Nunzi, in mancanza di altro personale, qualsiasi altro ruolo di rappresentanza ecclesiastica nel proprio territorio (presso le Chiese sui iuris, le Chiese non cattoliche, le religioni non cristiane, le organizzazioni laiche, le missioni, per le attività sociali, per la riscossione di imposte ecclesiastiche, per la sovrintendenza artistica). Le Nunziature furono dotate di beni propri e il Vaticano ebbe le sue rappresentanze presso tutte le organizzazioni internazionali. Quando poi furono aperte Nunziature presso le nuove Confederazioni continentali, non furono chiuse quelle presso i singoli stati membri.

Lo Stato della Città del Vaticano

Con la costituzione apostolica Patrimonium Petri Giovanni Paolo III riorganizzò lo Stato della Città del Vaticano. Confermò che in sua vece esso dovesse essere governato dalla Congregazione – già Commissione – per lo Stato della Città del Vaticano, presieduta dal Cardinale Segretario di Stato e avente come Segretario il Cardinale Camerlengo, così da poter continuare a funzionare durante la Sede Vacante. La Congregazione avrebbe continuato ad esercitare il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, facendo le leggi, nominando i funzionari del Governatorato e i magistrati. Il Papa le conferì anche le funzioni di corte di giustizia amministrativa, mentre quelle di giustizia contabile spettarono alla Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Riformò anche l’ordine giudiziario, abolendo il tribunale di secondo grado, le cui funzioni furono demandate alla Sacra Rota Romana, e confermando le competenze di cassazione alla Santa Segnatura Apostolica. Ripristinò le cariche di Governatore e Consigliere Generale dello Stato, affidandole ai Principi assistenti al Soglio. Accanto ad essi confermò la Consulta di Stato, formata dai capi dei nove ordini dell’aristocrazia pontificia. Riorganizzò il Governatorato, abolendo la Segreteria Generale e quella Tecnica e affidando il coordinamento degli Uffici così ristrutturati e retti da altrettanti Rettori al Governatore stesso:

  1. Ufficio del Bilancio e della Programmazione Economica (già della Ragioneria Centrale)
  2. Ufficio del Tesoro (per la gestione dei beni dello Stato, comprensivo della Divisione Numismatica, di quella per le Medaglie, quella dei Servizi Economici e il Fondo di Assistenza Sanitaria)
  3. Ufficio per gli Approvvigionamenti (già Ufficio Merci)
  4. Ufficio per le Infrastrutture e i Trasporti (comprensivo della Direzione dell’Autoparco)
  5. Ufficio per i Lavori Pubblici (competente per l’Edilizia, per i Laboratori e gli Impianti, la Floreria e gli Appalti)
  6. Ufficio per i Beni Culturali e Ambientali (da cui dipende la Direzione Generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, il Laboratorio del Restauro, il Gabinetto delle Ricerche Scientifiche, la Direzione degli Studi e delle Ricerche Archeologiche e quella delle Ville Pontificie, nonché la Specola Vaticana)
  7. Ufficio per le Poste e le Comunicazioni (comprensivo della Divisione filatelica e della Direzione dei Telefoni)
  8. Ufficio per i Servizi Socio Sanitari (già Direzione dei Servizi Sanitari e da cui dipendono il Corpo Sanitario, la Farmacia e l’Assistenza Sanitaria).
  9. Ufficio per i Servizi Amministrativi (comprensivo delle Divisioni Legale, di Stato Civile, di Protocollo e Archivio, del Personale, per le Informazioni per i Pellegrini e i Turisti).

Il primo ufficio ebbe l’incombenza di redigere il bilancio dello stato e la programmazione della sua attività economica, contando soprattutto sulle sue proprietà estere. Il secondo ebbe la proprietà dei beni dello stato. Il Papa, come vedremo, ebbe una accorta politica finanziaria e alla fine del suo governo aveva accumulato beni per lo Stato di un valore equivalente a 1000 miliardi di euro, dei quali 400 di beni immobili e 600 di beni mobili. Tra essi ebbero particolare valore le società con azionista unico – lo Stato vaticano – da lui create per erogare i servizi base al suo interno ma anche per gestire partecipate all’estero che fornissero le medesime prestazioni. Essi furono: l’Acquedotto Vaticano (AV), l’Ente Vaticano Energia Elettrica (ENVENE), l’Ente Vaticano Idrocarburi (EVI) e quelli dedicati alle fonti di energia alternativa: l’Ente Vaticano Energia Eolica (ENEOLVAT), l’Ente Vaticano Energia Solare (VATENELIO), l’Ente Vaticano Energia delle Maree (MAREVAT) e, in joint ventures con l’APSA, l’Ente Vaticano Energia Atomica (VATENATOM) e l’Ente Vaticano Nuove Energie (ENEONVAT). Il secondo ufficio gestiva anche il fondo di assistenza sanitaria, mentre i fondi pensionistici e gli stipendi erano in capo all’Ufficio Centrale del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA), dipendente dalla Prima Sezione della Segreteria di Stato. Sempre il secondo ufficio emetteva titoli di stato annuali o poliennali per un valore mai superiore rispettivamente a cinque e dieci miliardi sul mercato internazionale per i piccoli e medi investitori. Si occupava della monetazione, i cui valori tradizionali vennero raddoppiati e che avvenne anche in valuta cartacea, avente corso legale in tutti i paesi della Confederazione Europea. Attraverso la Direzione dei Servizi Economici l’ufficio gestiva anche tutte le necessità finanziarie dello Stato. Il terzo ufficio gestiva tutti gli approvvigionamenti e aveva la proprietà dell’Annona Vaticana, costituita anch’essa in società ad azionista unico e operante all’estero, come parte integrante dell’asse dei beni dello Stato. Possedeva altresì l’Azienda Agroalimentare di Castelgandolfo, anch’essa operante, mediante una catena di altre aziende, in diverse regioni italiane e stati esteri. Il quarto ufficio si trovò ad occuparsi non solo delle mansioni sue proprie nello Stato, ma anche della gestione di nuove società ideate dal Pontefice per erogare, dentro e fuori, servizi che rimpinguassero le casse dello Stato: l’Ente Stradale Vaticano (ESV), le Linee Aeree Vaticane (Vatican Airlines), i Trasporti Marittimi Vaticani (TMV), gli Autotrasporti Vaticani (AUV) e le preesistenti Ferrovie Vaticane (FV) e l’Eliporto Vaticano. Il Papa acquisì il controllo dell’Aeroporto di Fiumicino e del Porto di Ostia, ottenendo in seguito che essi fossero considerati parte dello Stato vaticano e lasciandoli operare secondo la legge italiana e col servizio della Polizia italiana. Il quinto ebbe la responsabilità di tutta la manutenzione edilizia dello Stato e dei suoi immobili extraterritoriali. Da esso dipendeva il Corpo dei Vigili del Fuoco. Il sesto sovrintese alla gestione museale, che ebbe un enorme impulso da parte del Papa e su cui torneremo. Alle sue dipendenze c’era anche la Specola Vaticana, retta dai Gesuiti, ai cui tre osservatori (due a Roma e uno in America), il Papa aggiunse uno in Argentina, uno in Australia, uno in Giappone, uno in Madagascar e che dotò di una connessione di rilevazione spaziale profonda satellitare. Tale ufficio aveva anche la responsabilità delle misure per la protezione civile e ambientale. Il settimo ufficio ebbe la gestione delle comunicazioni – escluso l’internet della Santa Sede – ma anche e soprattutto la proprietà delle società dei servizi Poste Vaticane (POVA), Telefonia Vaticana (TeleVat) e Vatican Server, tutte e tre operanti come le altre società ad azionista unico, sia dentro che fuori lo Stato. L’ufficio gestì l’emissione filatelica – per un ammontare doppio di quello tradizionale-, quella di buoni postali poliennali per un valore non superiore a cinque miliardi i risparmi dei correntisti cittadini o almeno dotati di personalità giuridica canonica. L’ottavo ufficio ebbe la proprietà e la gestione della Farmacia Vaticana e delle sue consociate (Farmacie Vaticane), nonché quella del Policlinico Gemelli, che il Papa volle diventasse a tutti gli effetti l’ospedale del suo Stato e per il quale chiese e ottenne l’extraterritorialità, pur facendolo operare secondo le leggi italiane. Il nono ufficio gestiva la burocrazia, con la novità di una cittadinanza concessa a vita a tutti i Cardinali, ai prelati di Curia di Corte e di Cappella e ai laici della Corte papale, nonché ai residenti dello Stato.

Le altre funzioni proprie di uno stato sovrano vennero affidate a organismi della Curia: la Prima Sezione della Segreteria di Stato funse da ministero degli interni e la Seconda da ministero degli esteri. L’ULSA, già nominata, fece da ministero del lavoro e della previdenza sociale, trattando anche i CCNL con il sindacato unitario vaticano, mentre l’Ufficio per la Pubblica Sicurezza e la Difesa della Santa Sede, dipendente dalla Prima Sezione, si occupò delle funzioni di polizia e delle forze armate, a disposizione, le une e le altre, a richiesta del Governatore Generale dello Stato. La Santa Sede stipulò convenzioni con le polizie di tutto il mondo e in particolare con quella italiana e quelle europee. Accordi militari ben precisi vennero presi con le forze armate italiane, con quelle NATO prima ed europee dopo, mentre trattati di controassicurazione vennero sottoscritti anche con la Comunità Euroasiatica, gli USA, gli Stati Uniti Arabi, quelli d’Africa e quelli dell’America Latina, ma anche con quelli dell’Unione Gerosolimitana. Le relazioni pubbliche degli organi statuali spettavano all’Ufficio delle Pubbliche Relazioni della Santa Sede, anch’esso dipendente dalla Prima Sezione. La pubblicazione degli atti ufficiali avveniva sugli Acta Apostolicae Sedis. Le statistiche ufficiali erano pubblicate nell’Annuario Pontificio. La gestione dell’intelligence, di spionaggio e di controspionaggio, riguardanti anche la sicurezza della Curia e della Chiesa tutta, dipendeva dagli Uffici Centrali di Informazioni e di Sicurezza, entrambi dipendenti dalla Seconda Sezione della Segreteria di Stato. I due Uffici, che davano ufficialità ai servizi segreti da sempre esistenti, ebbero relazioni strutturate da appositi accordi con l’intelligence italiana, francese, tedesca, inglese, americana e russa in particolare, con quella dei paesi europei e NATO in genere, e poi con quelli della Confederazione Europea e delle altre Confederazioni continentali. Il Carcere Vaticano, minuscolo e sotterraneo, costruito dal Papa, dipendeva dalla Gendarmeria. Le imposte, di cui diremo, erano riscosse dalla Camera Apostolica e versate, nelle somme di pertinenza, allo Stato Vaticano. La revisione dei suoi bilanci spettava alla Prefettura degli Affari Economici. La gestione dei mezzi di comunicazione di massa era delle amministrazioni palatine sottoposte al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Le politiche dei beni culturali e della cultura erano competenze del Pontificio Consiglio omonimo, riassorbendo quelle della Commissione per i beni culturali e artistici della Santa Sede, che venne soppressa.

Il Pontefice, pur mantenendo un potere assoluto sullo Stato, volle promulgare una Costituzione, contenente solo principi, così da lasciare al mondo l’esempio di una formulazione compiuta dei diritti e dei doveri naturali e sovrannaturali dei cittadini, delle comunità sociali e di quella politica. Inoltre promulgò i quattro Codici dello Stato ispirandoli al diritto canonico e al personalismo. Infine ordinò la raccolta sistematica delle leggi e dei decreti dello Stato, con relativo commento, definita Corpus Iuris Status Civitatis Vaticanae.

Nella seconda fase del suo Papato, Giovanni Paolo II, a fronte del rischio default italiano è [L’autore immagina che l’Italia vada sull’orlo del fallimento], acquistò nel paese diversi immobili storici. Persuase altresì il governo italiano a rivedere il Trattato del Laterano, concedendo ampliamenti territoriali. Fu così che tutta Via della Conciliazione, fino alle Mura Leonine e al Ponte Sant’Angelo, compreso Castel Sant’Angelo, divennero territorio vaticano. Acquistati tutti gli immobili posti tra le Mura Leonine e la riva sinistra del Tevere, il Papa ottenne la sovranità anche su quelli e i residenti poterono scegliere se essere cittadini italiani o vaticani. Il quartiere delle Ferrovie del Vaticano venne unito alla Città e recintato da nuove Mura. Il Papa aveva così raggiunto il Tevere ma, avendo ottenuto, come vedemmo, anche l’extraterritorialità per l’aereoporto e il porto di sua spettanza, non solo li fece diventare parte dello Stato, ma li collegò alla città leonina con una strada sotterranea a doppia carreggiata, parte integrante del Vaticano. Il Pontefice ora aveva anche lo sbocco al mare. In quanto agli immobili extraterritoriali, vennero annessi allo Stato, esattamente come quelli di nuova acquisizione e scelti come sedi dei dicasteri romani. Gli immobili esenti da espropri e tributi del vecchio Trattato Lateranense divennero a loro volta extraterritoriali, compreso il Palazzo e la Villa di Castel Gandolfo. Il Papa acquisì i seguenti luoghi storici di Roma, lasciandone libero l’accesso ai romani e ai turisti e mantenendone gli eventuali musei:

  1. Palazzo Sforza Ruspoli e Palazzo di Spagna – donato da quel Regno – per la Congregazione delle Chiese di Diritto Proprio
  2. Palazzo Farnese – donato dalla Francia – e gli edifici laterali della Piazza per la Congregazione dei Vescovi
  3. Palazzo Barberini per la Congregazione per il Clero
  4. Palazzo Doria Pamphili per la Congregazione per i Religiosi
  5. Palazzo Montecitorio per la Congregazione per i Laici
  6. Palazzo Altieri per la Congregazione per la Sacra Liturgia
  7. Palazzo Caetani per la Congregazione per le Cause dei Santi
  8. Palazzo Cenci per la Congregazione per i Sacri Canoni
  9. Palazzo Savelli per la Congregazione per i Seminari
  10. Palazzo della Consulta per la Congregazione per gli Affari Pubblici
  11. Villa Abamalek per la Congregazione per lo Stato della Città del Vaticano
  12. Palazzo Madama, Villa Torlonia, Villa Giulia, Villa Del Vascello, Villa Pamphily per la Congregazione per gli Affari Sociali
  13. Palazzo Venezia per la Congregazione per l’Unità dei Cristiani
  14. Palazzo Antici Mattei e Palazzo Braschi per la Congregazione del Dialogo Interreligioso e coi Non Credenti
  15. Palazzo del Nazareno, Villa Spada, Palazzo Giustiniani in dotazione alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli
  16. Villa Ada per il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali
  17. Palazzo Vedekind e Palazzo Brancaccio per il Pontificio Consiglio per la Cultura e i Beni Culturali ecclesiastici
  18. Palazzo Altemps per il Supremo Tribunale della Segnatura
  19. Palazzo Vidoni per la Rota Romana
  20. Palazzo Chigi per la Prima Sezione della Segreteria di Stato e Palazzo Bonaparte per la Scuola Superiore della Curia Romana
  21. Il Quirinale per la Seconda Sezione della Segreteria di Stato e come sede papale alternativa
  22. Palazzo Corsini per l’Elemosineria Apostolica
  23. Villa Borghese per la Segreteria Permanente del Sinodo e della Dieta dei Patriarchi
  24. Il Campidoglio per il Vicariato di Roma

Il Papa inoltre fece costruire due nuovi Palazzi per la sua Corte presso la Basilica Liberiana e quella di San Paolo, anch’essi considerati parte integrante dello Stato Vaticano. Ottenne l’extraterritorialità per tutte le Chiese titolari e diaconali di Roma, per le sedi degli Ordini Religiosi, per i Collegi ecclesiastici, le Università e gli Istituti di Studi pontifici, le Case del Clero, i Seminari, i palazzi dei Cardinali. Acquisì anche, come parte dello Stato, i palazzi pontifici di Tivoli, Palestrina, Anagni, Viterbo, Perugia, assieme a Villa d’Este a Tivoli e Villa Aldobrandini a Frascati e alla Tenuta di Castel Porziano. Con la Francia concluse un accordo che gli permise di acquistare e tenere come extraterritoriali i Palais Vieux et Neuf di Avignone.

L’ampliata disponibilità di luoghi fece sì che il progetto di Giovanni Paolo III, di ripristinare e ampliare i vecchi Corpi di Armata Pontifici, si realizzasse. Innanzitutto ripristinò la Guardia Nobile, per la vigilanza sulla sua persona nel luogo della propria residenza. Indi riprese la Guardia Palatina, affidandole la custodia di quelli che erano i Sacri Palazzi – in origine solo il Vaticano e il Laterano, poi anche il Quirinale e gli edifici presso le Basiliche liberiana e di San Paolo. Alla Guardia Svizzera lasciò la sorveglianza della Basilica di San Pietro e delle altre Basiliche patriarcali di Roma, oltre che quella dei confini dello Stato vaticano. Reclutò poi, per il presidio delle sedi dei dicasteri romani, i Corpi delle Guardie Corsa, Provenzale, Croata, Catalana e Boema. Affidò le sedi diplomatiche pontificie ai Corpi delle Guardie Celtica – reclutata in Irlanda – Rutena, Maronita, Tanzaniana, Carioca – reclutata in Messico- e Filippina. Infine fondò i Corpi di Armata Bavarese, Austriaco e Polacco per le infrastrutture dello Stato e i palazzi fuori Roma. Ogni Corpo ebbe un Capitano Comandante; tutti i Capitani Comandanti dipendevano dal Generale di Santa Romana Chiesa. Questi assisteva il Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, in quanto Procuratore dell’Ufficio della Pubblica Sicurezza e della Difesa della Santa Sede. Dal Gonfaloniere dipendeva anche l’Ispettore Generale della Gendarmeria Pontificia, cui rimanevano tutti i compiti suoi propri, esclusa l’intelligence, passata agli Uffici citati in precedenza. Per la sua personale custodia il Papa ripristinò e ammodernò il Corpo dei Camerieri di Cappa e Spada, addestrati e armati molto bene. Utilizzando le più moderne tecnologie il Pontefice dotò poi il Vaticano di una sofisticatissima difesa aerea e sotterranea, basata su barriere energetiche, atte a difendere anche il suo porto e il suo aeroporto. Predispose poche ma efficienti artiglierie laser contraeree e un sistema difensivo di guerra basato su androidi e intelligenze artificiali, mentre tenne costantemente schermate le linee telefoniche e internet del Vaticano – dotato come vedremo dei suoi provider – per impedire che software estranei sottraessero documenti computerizzati.

Le finanze

La costituzione apostolica Regalia Petri riorganizzò tutto il sistema delle finanze vaticane, mentre la decretale Regalia Ecclesiae vertè su quello delle finanze delle Chiese locali. Il Papa confermò i tre Uffici classici della Curia deputati alle questioni economiche, nei quali riservò agli ecclesiastici solo gli incarichi apicali, lasciando quelli intermedi a prelati di mantelletta e gli altri ai laici. Per quanto riguarda la politica contabile, il Papa, alla Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, divisa in tre sezioni, affidò altrettanti compiti: la prima redigeva il bilancio preventivo e consuntivo della Santa Sede e delle amministrazioni dipendenti, programmando il suo fabbisogno economico; la seconda rivedeva i bilanci delle amministrazioni autonome e recepiva quelli di tutte le diocesi del mondo e li rivedeva; la terza supervisionava le attività finanziarie degli Istituti di credito operanti in Vaticano. Il bilancio della Santa Sede in quanto tale veniva revisionato dal Prefetto e dal Consiglio di Presidenza del dicastero, non essendo stato elaborato direttamente da lui ma dal Razionario della Prima Sezione.

Per quanto concerne la politica economica, l’amministrazione dei beni della Santa Sede fu confermata all’Ufficio per l’Amministrazione della Sede Apostolica. Ogni anno, a settembre, in una Lettera riservata, il Papa dava istruzioni all’APSA per la sua politica di investimenti. Alla Prima Sezione e al suo Delegato ordinò di investire in un patrimonio immobiliare che non fosse fatto solo di case o palazzi, ma anche e soprattutto di supermercati, villaggi turistici, alberghi, ristoranti, bar, fattorie, tenute, allevamenti e simili, praticamente in tutto il mondo. Inoltre riservò ad essa la proprietà di ogni edificio ecclesiastico, sacro o profano, in dismissione. Le entrate vennero sistematicamente divise in tre parti: una per mantenere la proprietà, una per finanziare la Santa Sede e una per acquisire ulteriori beni. Fu così che alla fine del suo Papato, Giovanni Paolo III aveva accumulato un patrimonio immobiliare del valore di 700 miliardi in tutto il mondo. Alla Seconda Sezione e al suo Prelato Segretario il Papa diede indicazioni chiare: partecipazioni azionarie inferiori al pacchetto di maggioranza relativa in ogni tipo di società compatibile col profilo etico della Santa Sede; partecipazioni azionarie per una quota di controllo in società operanti in settori determinati; partecipazioni azionarie di maggioranza assoluta in determinate società di quei settori, allo scopo di fondare alcune grandi Società multinazionali appartenenti al Vaticano e aventi la sede proprio in esso. La ragione di questa scelta fu complessa: voler assicurare alla Santa Sede una potenza tale da difendersi dalla finanza globalista; voler garantirle la piena indipendenza economica; metterla in condizione di ripristinare quella delle Chiese locali; estendere la sua influenza sociale ed economica. Fu così che nacquero alcune grandi Società:

  1. Società Internazionale Agroalimentare
  2. Società Internazionale Energetica e Mineraria
  3. Società Internazionale Chimica e Farmaceutica
  4. Società Internazionale per le Comunicazioni
  5. Società Internazionale per le Infrastrutture e i Trasporti
  6. Società Internazionale Tecnologica
  7. Società Internazionale Assicurativa
  8. Società Internazionale di Robotica e Cibernetica
  9. Società Internazionale di Beni e Servizi

E’ degno di nota che la seconda società fece joint ventures con l’Ufficio del Tesoro della Città del Vaticano per la VATENATOM  e la ENEONVAT. La quarta gestì reti televisive, radiofoniche, social network, piattaforme audio e video on line, case editrici, case di produzione cinematografiche, società di telefonia e di messaggistica. La quinta possedette flotte aeree, navali, autostrade, strade, aeroporti, eliporti, porti, ferrovie, ma produsse anche aerei, navi, automobili, autocarri, camion, elicotteri, treni e persino astronavi e satelliti. La sesta produsse televisori, radio, computer, orologi, hi-fi e simili. Ognuna di esse inglobò molte prestigiose imprese, industrie, aziende, comprate dalla Santa Sede per il Grande Crollo della finanza mondialista [L’autore immagina che una serie di crisi sistemiche del capitalismo abbiano fatto fallire l’alta finanza occidentale]. La nona gestiva l’import export su scala globale, svolgeva attività nel terziario e nel quaternario e controllava le grandi piattaforme di commercio virtuale. L’attività di queste società fu poi rafforzata dalle nuove tecnologie. L’ottava ebbe presto il monopolio per la costruzione di robot e androidi e per l’intelligenza artificiale. La prima avviò ampi programmi per la trasformazione delle aree anecumeniche e subecumeniche in zone coltivabili e persino di terraformazione di esopianeti e per la colonizzazione del fondo marino. La seconda produsse leghe artificiali di grande resistenza e malleabilità e scoprì fonti energetiche nuove e di eccezionale ricchezza.

Accanto a queste grandi società, l’APSA controllava anche 1000 altre società che avevano conservato il loro marchio e operavano su scala nazionale o internazionale, e altre 5000 locali. Il ruolo degli investimenti vaticani fu determinante per salvare l’artigianato europeo, per implementare quello africano e latinoamericano, per conservare il tessuto della media e piccola impresa americana e per creare servizi e infrastrutture nei paesi emergenti. Il Pontefice infine ordinò all’APSA di acquistare sistematicamente quote ampie dei debiti sovrani di tutti gli Stati del mondo, sia direttamente che tramite società apposite di cui aveva acquisito il controllo.

Il patrimonio complessivo della Seconda Sezione fu, alla fine del Papato di Giovanni Paolo, di 10000 miliardi, sebbene il volume degli affari gestiti dalle società controllate fosse almeno di 50000 miliardi. All’APSA vennero affidati in gestione anche i beni beneficiari a disposizione del personale di Curia, di Cappella e della Corte, quelli della Diocesi di Roma, della Provincia Ecclesiastica e della Regione Ecclesiastica Romane, della Chiesa italiana, del Patriarcato d’Occidente, del Sinodo dei Vescovi, della Dieta dei Patriarchi, del Concilio Generale della Chiesa Latina, delle Basiliche patriarcali e giubilari romane, dei Capitoli delle stesse e di tutte le Fondazioni con fine di lucro dipendenti dal Papato, per un valore complessivo di 5000 miliardi.

Una importante novità si ebbe nella politica finanziaria. Il Papa fondò infatti la Banca Centrale Vaticana, sottomettendola alla terza sezione della Prefettura degli Affari Economici e affidandole la politica monetaria e appunto finanziaria del Vaticano. Le prepose un Governatore Generale e le affidò la gestione della moneta, il controllo delle banche vaticane, l’amministrazione dell’Obolo di San Pietro e di altri fondi speciali come quelli previdenziali e sanitari, l’emissione di titoli annuali e poliennali della Santa Sede rispettivamente per non più di 5 e 10 miliardi, la collocazione di quelli dello Stato vaticano, la custodia delle riserve auree e di altri metalli preziosi e di valuta pregiata, la gestione dei beni personali del Papa e di quelli del Sacro Collegio e dei singoli Cardinali, la custodia del Tesoro di San Pietro. Inoltre il Pontefice fondò, accanto allo IOR, altre tre fiduciarie, l’Istituto Opere di Carità (IOC), l’Istituto Opere di Solidarietà (IOS) e l’Istituto Opere Missionarie (IOM). Lo IOC ebbe la gestione di tutte le attività della Sacra Congregazione per gli Affari Sociali, lo IOS di quelle della Sacra Congregazione dei Seminari, del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali e di quello per i Beni Culturali e la Cultura. Così tutta l’attività sanitaria, assistenziale, sociale della Chiesa Romana andò in capo allo IOC e quella scolastica, universitaria, culturali e delle comunicazioni andarono allo IOS. Tutto il resto venne affidato allo IOR, compresi i beni di tutte le diocesi che volevano ricorrere alla sua gestione e quelli degli Ordini religiosi la cui proprietà spettava alla Santa Sede. Lo IOM gestì invece tutti i beni di Propaganda Fide e delle diocesi di missione. Per ognuna delle quattro fiduciarie il Papa volle che venisse versato il capitale, rispettivamente di 7, 5, 5 e 12 miliardi. Al vertice di ognuna delle fiduciarie mise un Presidente, assistito da un Consiglio di Amministrazione. Abolì la Commissione di Vigilanza e il Prelato dello IOR e volle nelle banche solo personale laico. Giovanni Paolo III confermò la distinzione tra la personalità giuridica della Santa Sede e quella delle fiduciarie, ma le subordinò alla Banca Vaticana. Le quattro banche, tutte insieme, gestirono un patrimonio di depositi per 90 miliardi, emisero regolarmente obbligazioni, ebbero sportelli in diversi stati e soprattutto possedettero insieme la Cordata Bancaria Internazionale, fondata mettendo insieme svariate banche e istituti di credito possedute o acquistate dal Vaticano e poi acquisite dalla Cordata stessa. Essa divenne uno dei poli bancari più importanti del mondo, controllando 850 istituti operanti in tutto il pianeta. La Cordata ebbe sede in Vaticano. I beni posseduti complessivamente dalle quattro fiduciarie e dalla Cordata ammontavano a 5000 miliardi, mentre il volume di affari delle società controllate da esse era almeno di 20000. Una scelta politica monetaria di grande rilevanza di Giovanni Paolo III fu quella di uscire dall’euro, pur mantenendo l’equivalenza tra esso e la moneta vaticana, lo scudo. La ragione era quella di non essere controllato da Bruxelles. Il Papa accumulò nella Banca Centrale 20000 tonnellate di riserve auree, altrettante di platino e di pietre preziose, il doppio di riserve argentee e la metà in rodio. Ebbe altresì 10000 tonnellate di scudi vaticani oro e altrettante per altre undici valute rilevanti.

Il patrimonio della Santa Sede venne esentato, almeno parzialmente, da imposta in tutti i paesi con un concordato con essa. La recezione dei nuovi Patti Lateranensi nella Costituzione italiana e in quella europea ne fecero un diritto statutario della Chiesa.

Queste enormi ricchezze vennero usate dal Papa per ricostituire il patrimonio beneficiario in tutto il mondo e per fondare quello pastorale, allo scopo di garantire l’autosufficienza a tutto il clero e a tutte le chiese del mondo, negoziando nei concordati l’immunità fiscale dei beni ecclesiastici e, alla fine, riuscendo ad ottenerla almeno parzialmente ovunque. Il Papa stabilì quale dovesse essere la rendita per ogni ecclesiastico e quali i beni che dovessero fornirgliela. Distinse poi quei beni da quelli delle chiese, detti appunto pastorali, stabilendo di quali rendite avessero bisogno le varie circoscrizioni ecclesiastiche e i vari luoghi di culto di ogni ordine e grado, nonché quali dovessero essere i beni che la fornissero. Fece lo stesso per gli Ordini, le Congregazioni, le Società e gli Istituti religiosi, anche secolari, dotandole solo di beni pastorali, visto che i loro membri facevano voto di povertà. Fornì beni pastorali anche alle associazioni di apostolato di azione cattolica, alle confraternite e ai pii sodalizi. Su questi beni elaborò il suo sistema fiscale, mirante alla piena autonomia della Chiesa, anche in caso di liquidazione del suo nuovo patrimonio. Stabilì che le tasse fossero pagate a colui che aveva la giurisdizione immediata sul contribuente, per cui esse si divisero in tasse per i Vescovi e tasse per il Papa o per il Patriarca. Le tasse ecclesiastiche furono le seguenti:

  1. I servizi comuni, pari a una mensilità della rendita beneficiale, da pagarsi da parte del chierico al momento dell’investitura
  2. Le annate, pari a una annualità della rendita beneficiale, pagata in dodici rate annuali dal chierico al suo superiore ecclesiastico
  3. I sussidi, pari al 10 % dell’imponibile dei beni pastorali, pagata annualmente dall’ente detentore del bene al suo superiore ecclesiastico
  4. Le decime, ossia una tassa del 10% dell’imponibile sui propri beni, pagate dai fedeli e dalle persone giuridiche riconducibili ai laici, all’autorità ecclesiastica ogni due anni e ripartite per due terzi tra le autorità locali e per un terzo al Papato
  5. Gli spolii, ossia la tassa di successione sui beni del clero, pari al 25 %, da versarsi al superiore ecclesiastico, che introitava tutto in caso di decesso ab intestato
  6. L’Obolo di San Pietro, pari all’entrata delle elemosine di tutte le chiese del mondo nel giorno dei Santi Pietro e Paolo o nella domenica ad essa più vicina, da versarsi al Papa
  7. I servizi minuti, secondo un tariffario, per ogni atto ecclesiastico chiesto all’autorità competente.

Come si vede, il laicato pagava le tasse al clero, ma il basso clero a sua volta le pagava agli Ordinari e questi, assieme a tutti gli ecclesiastici direttamente sottoposti alla Santa Sede, li pagavano al Papa. Questi poi, ogni cinque anni, percepiva un terzo delle imposte dovute dal basso clero agli Ordinari. Nelle Chiese di diritto proprio, gli Ordinari pagavano le tasse al Patriarca o al Primate o a chi ne faceva le veci. Ogni cinque anni, il Papa percepiva un quinto delle tasse dovute ai Patriarchi o ai Primati delle Chiese di diritto proprio e, ogni sette, percepiva un decimo di quelle dovute dal basso clero agli Ordinari di quelle Chiese. In quanto agli Ordinari, accantonavano sul loro gettito somme stabilite da versare ai Metropoliti, ai Metropoliti Maggiori e ai Primati, così da sovvenzionarne le strutture. Gli Ordini religiosi, se esenti, pagavano le tasse solo alla Santa Sede. Quelli Mendicanti, essendo i loro beni di proprietà del Papato, non pagavano tasse, in quanto esso tratteneva per sé una parte delle rendite di quei beni. La raccolta delle imposte ecclesiastiche spettava ai Collettori, episcopali o patriarcali o apostolici. Questi ultimi, dotati di immunità diplomatica e del rango di ecclesiastici di mantelletta anche se spesso erano laici, versavano quanto raccolto alla Camera Apostolica. Il gettito annuo era all’incirca di 5000 miliardi da tutto il mondo, a fronte di un patrimonio beneficiale mondiale di 100000 miliardi e di un patrimonio pastorale di un milione di miliardi (compresi i beni delle associazioni laicali), senza contare l’imponibile dei laici.

Queste somme venivano versate nella Banca Centrale Vaticana la quale poi le ripartiva: anzitutto copriva le spese previste in bilancio e poi le divideva per metà tra l’APSA e le fiduciarie per fargliele investire. La Camera poi aveva tre fondi speciali presso la Banca Vaticana: quello Speciale, quello di Sicurezza e quello per il Futuro. Al primo si attingeva per spese impreviste, al secondo si poteva attingere in caso di default anche parziale e al terzo per garantire una rendita disponibile per qualsiasi altra emergenza imprevista. Il primo era di 5 miliardi, il secondo di 50 e il terzo di 10. Alla fine del suo Papato, Giovanni Paolo III aveva raggiunto due obiettivi cardine: l’indipendenza economica della Chiesa e la sovvenzione delle sue spese correnti mediante le imposte ecclesiastiche.

Un importante successo arrise a Giovanni Paolo III quando, nei nuovi Patti Lateranensi, stipulò con l’Italia una nuova Convenzione Finanziaria, ottenendo le somme che Mussolini non aveva versato al Vaticano nel 1929 con i relativi interessi, somme che pure le sarebbero spettate per la Legge delle Guarentigie. Il Papa se le fece pagare a rate per non inflazionare la moneta italiana. Quando i Patti entrarono nella Costituzione europea, la Convenzione assunse nuova forma e previde che, su base di accordi bilaterali, per un numero fissato o indefinito di anni, i singoli stati, di religione cattolica, potessero versare un contributo alle casse della Camera Apostolica. Tale contributo fu previsto anche da alcuni concordati. Alla fine, furono cinquanta gli stati che vollero versarlo annualmente.

Il Papa pose la sede di tutte le sue amministrazioni economiche in Castel Sant’Angelo. Se lasciò nei precedenti depositi esteri svizzeri e americani le parti di riserve finanziarie che aveva trovato là appena eletto, Giovanni Paolo III spostò quelle accumulate da lui in altre sedi: Monaco, Andorra, Lussemburgo, Liechtenstein, San Marino, Bahamas, Libano e soprattutto Roma. Infatti, se stipulò con questi stati accordi finanziari che gli permisero di movimentare il denaro della Chiesa tramite le loro banche, tenne il grosso delle riserve in enormi depositi fortificati sotterranei al di sotto del Vaticano e di Castel Sant’Angelo, a più di 60 metri di profondità, protetti da sofisticatissimi sistemi di allarme, costruiti in metalli artificiali inattaccabili e difesi da automi.

L’immensa ricchezza papale servì a sovvenzionare le molteplici attività spirituali, politiche, culturali, sociali, economiche della Santa Sede, ma non mutò lo stile di vita del Vaticano. Il Papa, infatti, appena eletto, aveva introdotto una rigida austerity, al fine di ridurre le spese inutili e incoraggiare l’ascetismo. Tale stile rimase immutato, per evitare che la corruzione entrasse in Vaticano. Del resto malversatori, ladri e prodighi furono puniti severamente con mezzi materiali e spirituali dalla Prefettura degli Affari Economici e dai Tribunali ecclesiastici. Bisogna anche dire che per evitare tentazioni il Pontefice volle che gli stipendi e le pensioni dei dipendenti fossero di molto migliorate e agganciate agli standard dei più avanzati paesi europei.

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