Ritratto di un papa futuro: le norme giuridiche

di Vito Sibilio

PREMESSA

Ci sono molti autori che hanno espresso le
loro idee sulla Chiesa e sul Papato, mediante la finzione letteraria. Il Santo
o I sandali di Pietro sono tra le più famose delle loro opere, mentre di
recente The Young Pope o The New Pope hanno reso il genere, a cavallo tra
letteratura e cinema, assai popolare. Anche io proverò a fare lo stesso.

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Quel che segue è tratto dalla voce “Giovanni
Paolo III”, a cura di Lothar Von Sybel, dell’Enciclopedia Cattolica, vol. XLV,
Città del Vaticano- Metropolis della Luna, LEV- Edizioni del Mare della
Tranquillità, 2223.

Vedi: Ritratto di un papa futuro: Giovanni Paolo III

Le norme sull’Episcopato

Giovanni Paolo III, con la decretale Successores Apostolorum, valorizzò l’Episcopato favorendo una corretta collegialità e accrescendo i poteri dei Vescovi. In ordine al primo punto, stabilì che in ogni diocesi si tenessero due Sinodi annuali, uno in Avvento e uno in Quaresima, che si tenesse un Concilio provinciale una volta all’anno, che si convocasse un Concilio della Regione ecclesiastica ogni due anni e che si celebrasse un Concilio nazionale ogni quattro anni. Presieduti rispettivamente dall’Ordinario, dal Metropolita, dal Metropolita Maggiore – nuova figura appositamente creata – e dal Primate, i Concili periodici dovevano custodire il deposito della fede, promuovere il culto divino, mantenere la disciplina ecclesiastica, correggere eresie e abusi, favorire l’evangelizzazione e la catechesi, promuovere le relazioni coi cristiani non cattolici, dare impulso alle attività sociali, caritative e culturali della Chiesa. I loro canoni dovevano essere inviati e, laddove previsto, approvati dalla Santa Sede. Il Papa poi stabilì che ogni cinque anni i Primati e i Metropoliti Maggiori di rito latino si riunissero in un Concilio Generale della Chiesa Latina, per i medesimi scopi. Per evidenziare il legame tra le Chiese latine di tutto il mondo e quella romana, Giovanni Paolo III riprese il titolo di Patriarca di Roma e dell’Occidente dei Latini. Il Pontefice, in quanto al Sinodo dei Vescovi, conservò l’uso di tenerlo ogni cinque anni, precisamente dopo il Concilio latino generale, e rese stabile l’organismo della Segreteria Generale, affidandola al Cardinale Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e assumendo per sé, di fatto e di diritto, la presidenza dell’assise, delegando il Segretario Generale all’organizzazione dei lavori. Volle che al Sinodo partecipassero tutti i Cardinali, i Patriarchi e i Primati, oltre che a un Vescovo per ogni provincia ecclesiastica del mondo. Il Papa mantenne la funzione consultiva dell’assise, ma decise che l’argomento sarebbe stato scelto, sulla base di sue proposte, dall’Episcopato mondiale consultato attraverso le Nunziature. Giovanni Paolo, inoltre, convocò spesso, come abbiamo visto parlando del suo magistero, sessioni deliberanti sia ordinarie che straordinarie, trattando di dogmatica, etica, missione ed ecumenismo. Tenne inoltre una sessione particolare per ciascun continente – dividendo il Medio dal Lontano Oriente e l’America del Nord da quella Latina – per favorire l’evangelizzazione. Il Pontefice stabilì che le Curie diocesane, metropolitane, metropolitane maggiori e primaziali avrebbero curato l’applicazione dei decreti dei rispettivi Sinodi, come quella Romana avrebbe applicato le eventuali decisioni del Sinodo dei Vescovi, al termine del quale continuò a far pubblicare Esortazioni Apostoliche. Allo scopo di sottolineare il legame tra il Papa e il Collegio Episcopale, Giovanni Paolo III assunse per sé i titoli di Capo del Sacro Collegio Episcopale, Vescovo dei Vescovi e Vescovo Universale. Nel Canone della Messa, dopo la menzione del nome del Papa e del Vescovo locale, ordinò che si menzionasse il Collegio Episcopale. In relazione alle Conferenze Episcopali, decise che i Presidenti di quelle nazionali fossero ex officio i Primati e che i Segretari Generali fossero nominati dalla Santa Sede per un quinquennio, rinnovabile. Il Papa semplificò drasticamente la loro struttura, mantenendo il Consiglio di Presidenza, formato dal Presidente, dal Segretario e dai Metropoliti Maggiori a capo delle Regioni Ecclesiastiche, istituendo l’Assemblea Parziale con i Metropoliti, la Generale con tutti gli Ordinari e la Plenaria con tutti gli insigniti dell’Episcopato, mentre volle che rimanessero solo gli Uffici ricalcati sui dicasteri maggiori della Curia – per la Dottrina della Fede, per la Sacra Liturgia, per i Sacri Canoni, per gli Affari Sociali, per la Cultura e le Comunicazioni, per l’Evangelizzazione, per l’Ecumenismo, per il Dialogo interreligioso- e abolì tutte le Commissioni e i Comitati. Una struttura analoga decretò per le Conferenze Episcopali regionali, riservandone la Presidenza ai neo istituiti Metropoliti Maggiori, creandone il Consiglio di Presidenza coi Metropoliti, l’Assemblea Generale con gli Ordinari e quella Plenaria con gli insigniti dell’Episcopato. Ordinando che le Conferenze Regionali e Nazionali si riunissero con diversa periodicità, il Papa puntualizzò che esse dovevano solo raccordare i Vescovi, sulla base delle decisioni da essi presi nei Concili. Giovanni Paolo III rese stabili le Unioni Continentali delle Conferenze Episcopali, dandone la Presidenza all’Ordinario della Sede continentale più importante e la Segreteria a un presule scelto da lui. Lo scopo era quello di coordinare i lavori delle Conferenze Episcopali su base continentale, sulla base dei deliberati dei Concili Generali dei vari riti. A sé, il Papa riservò la Presidenza della Conferenza Episcopale del Lazio e dell’Italia e dell’Unione delle Conferenze Episcopali Europee, delegandola al Cardinale Vicario di Roma. Diede così sostanza ai titoli di Primate di Italia, Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana e a quello neo assunto di Metropolita Maggiore della Regione del Lazio.

Per quanto concerne il secondo punto, Giovanni Paolo III ripristinò il diritto dei Vescovi di rimanere in carica fino alla morte, concesse loro di eleggere e investire i canonici del Capitolo Cattedrale e di conferire loro le quattro dignità maggiori, nonché di indicare alla Santa Sede chi eleggere come Coadiutori e di esprimere il gradimento per l’elezione degli Ausiliari – ma non sul diritto di successione – conferì loro il potere di sciogliere i matrimoni la cui nullità dipendeva dalla testimonianza dei coniugi e di secolarizzare i chierici di cui si fosse saputo che erano stati ordinati a dispetto dei requisiti morali richiesti, attribuì loro la competenza di perseguire le eresie e gli abusi attraverso apposite Censure Episcopali, ribadì la loro prerogativa di amministrare il patrimonio diocesano, concesse loro un Coadiutore ogni 100000 fedeli e un Ausiliario oltre i 500000. Il Papa ribadì il diritto dei Metropoliti di sorvegliare la condotta dei loro suffraganei, di consacrare i Vescovi della propria Provincia, di giudicare in seconda istanza le cause diocesane e in prima quelle provinciali, di reprimere eresie e abusi attraverso le proprie Censure Metropolitane e di applicare i deliberati dei Concili Provinciali tramite le proprie Curie. Istituendo i Metropoliti Maggiori, il Papa li individuò nei Metropoliti della sede più grande o antica della Regione Ecclesiastica e conferì loro il potere di sorvegliare la condotta dei Metropoliti, di consacrare i Metropoliti della Regione, di giudicare in seconda istanza le cause metropolitane e in prima quelle regionali, di reprimere eresie e abusi tramite le proprie Censure Regionali, di applicare i deliberati dei Concili Regionali tramite le proprie Curie, di presiedere le Conferenze Episcopali Regionali, di emanare sentenze di nullità matrimoniale in prima istanza nei casi non riservati agli Ordinari,  di istruire le cause per il riconoscimento del titolo di Venerabile ai Servi di Dio e di decretarlo. Ai Primati il Pontefice riconobbe il diritto di sorvegliare la condotta dei Metropoliti Maggiori, di consacrarli nella propria Chiesa nazionale, di giudicare in prima istanza le cause tra le Regioni Ecclesiastiche e in seconda quelle delle Regioni, di perseguire le eresie e gli abusi tramite le proprie Censure Primaziali, di applicare  i deliberati dei Concili Nazionali tramite le proprie Curie, di presiedere le Conferenze Episcopali Nazionali, di emanare le sentenze di nullità matrimoniale in seconda istanza e su delega del Sommo Pontefice, di istruire le cause per la Beatificazione dei Venerabili e di beatificarli all’occorrenza, di predisporre le istruttorie per le nomine dei Vescovi.

Il Pontefice semplificò e potenziò le Curie dei vari presuli, modellandole su quella Romana. Stabilì che un Vescovo non potesse cambiare più di due sedi, generalmente solo di grado più elevato, e di spostarlo ad una terza solo per casi particolari, rimanendo in ognuna per almeno dieci anni. Rese più esigenti i criteri per la scelta dei candidati all’Episcopato e riservò alla Santa Sede le elezioni di tutte quelle sedi di rito latino che ancora non erano di sua spettanza. Inculcò ai Vescovi i loro doveri pastorali e sacerdotali, in particolare di visitare le Parrocchie e la Santa Sede e di partecipare ai Concili e alle adunanze delle Conferenze Episcopali, ma anche di celebrare e recitare la Liturgia delle Ore intera e il Rosario  e di leggere la Bibbia e di meditare quotidianamente, li esortò a compiere anche solo in forma privata tutte le devozioni da lui promosse nel popolo, li invitò a tendere fermamente alla santità e a praticare la povertà in privato senza ostentazioni pauperistiche ma anche senza inutili esibizioni di ricchezza, prescrisse loro di condurre una vita austera e ritirata, ribadì il loro obbligo di indossare le vesti prelatizie e la croce aurata con l’anello, i paramenti pontificali con il pastorale in metallo prezioso e di risiedere in Episcopio, ricordò che dovevano occuparsi del Seminario e della formazione e santificazione del clero e dei fedeli,  prescrisse una loro formazione dottrinale e spirituale permanente e allontanò tutti quelli che, tra loro, erano sostenitori di eresie, colpevoli di abusi canonici o liturgici o non energici nel perseguirli, o fossero negligenti nel perseguire crimini sessuali del clero o loro complici o essi stessi colpevoli, o fossero colpevoli di simonia o di aver depredato o dilapidato i beni della Chiesa. Sotto Giovanni Paolo III 500 Vescovi andarono sotto inchiesta e 250 furono deposti, degradati, sospesi, secolarizzati o addirittura scomunicati. La giurisdizione canonica sull’Episcopato a nome del Papa, ferme restanti le competenze della Congregazione per la Dottrina della Fede, la esercitò quella per i Vescovi, presieduta da lui stesso.  Giovanni Paolo III poi rivendicò, dinanzi ai poteri statuali, la piena giurisdizione sia civile che penale, da farsi esercitare in sua vece dai Primati, sia pure in ossequio alle leggi vigenti in ogni paese. Ma tale rivendicazione non fu sempre accettata dai governi.

Il Papa soppresse le diocesi prive dei mezzi necessari per sussistere, accorpò quelle troppo piccole, divise quelle troppo grandi, ne ridisegnò i confini laddove necessario, le unì in Province in un numero non minore di 5 e non maggiore di 10 e riunì le Province in Regioni in un numero non minore di 5 e non maggiore di 10.

Giovanni Paolo III concesse agli Ordinari Personali tutti i poteri dei Vescovi e l’ordinazione episcopale, assegnandoli a tutti i grandi movimenti ecclesiali, specie se associazioni pubbliche di fedeli, purché avessero all’interno una fraternità sacerdotale, un istituto religioso maschile o femminile o un istituto secolare maschile o femminile e una associazione laica), e a quelle comunità scismatiche tradizionaliste che fossero disposte a ritornare in  comunione con Roma mantenendo la liturgia e il diritto preconciliari. Agli Ordinari Personali, in base all’estensione della giurisdizione, concesse Coadiutori, Ausiliari e la dignità metropolitana con eventuali suffraganei e li affiancò a Consigli permanenti dei responsabili dei vari rami dell’organizzazione. Tali Ordinari, non avendo una Conferenza Episcopale propria, furono uniti nell’Unione dei Ordinari Personali Presidenti dei Movimenti Laicali.

Il Pontefice restaurò le sedi patriarcali di rito latino di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia e concesse a tutti i Patriarchi latini l’onore dei flabelli. Concesse anche loro di essere consacrati dai loro suffraganei o dal Papa stesso.

Le norme sul clero

Con la decretale Discipuli Domini Giovanni Paolo III provvide alle riforme che riteneva necessarie per l’Ordine Sacerdotale. Come ai Vescovi, ai Presbiteri, ai Diaconi, ai Suddiaconi e ai chierici minori proibì lo sport agonistico, la frequentazione dei locali mondani, la villeggiatura in posti licenziosi, il gioco d’azzardo, l’uso ludico dei social network, la confidenza eccessiva con persone estranee di ambo i sessi e di ogni età, l’eccessivo accumulo di ricchezza, lo sfoggio di oggetti particolarmente costosi, il fumo, il consumo assiduo di bevande alcoliche, l’esercizio di professioni, a meno che non strettamente autorizzate (come la docenza universitaria). Una parte di questi obblighi fu imposto anche a chi riceveva gli Ordini Minori come Ministeri, donne comprese. Impose ai chierici maggiori l’abito talare almeno negli spazi sacri e il clergyman in tutti gli altri luoghi. Ripristinò la tonsura. Introdusse criteri di selezione dei candidati agli Ordini Sacri più rigidi sia per la moralità che per la cultura e impose ai chierici la formazione spirituale permanente. Impose ai chierici la celebrazione della Messa o la partecipazione ad essa, la recita della Liturgia delle Ore, la lettura della Bibbia, la recita del Rosario, la meditazione quotidiana, mentre li esortò a compiere almeno privatamente tutte le devozioni da lui inculcate nei fedeli. Li invitò a tendere energicamente alla santità e a promuoverla nei fedeli a loro affidati. Incoraggiò i chierici alla vita comune, sia favorendo la nascita di nuovi Canonici Regolari – ne approvò quattrocentocinquanta – sia lo sviluppo di Istituti di Chierici Regolari, che permise avessero estensione anche solo diocesana – ne approvò duecentoquindici di locali, fondati da Vescovi, quarantanove voluti da Metropoliti, e quattordici di tradizionali. In altri casi ancora, persuase i chierici a costituire Società di Vita Apostolica. Anche quando non sussistevano vincoli religiosi, il Papa esortò i chierici a vivere insieme, sia quando servivano nelle medesime chiese, sia quando esercitavano il ministero in luoghi separati, sia quando erano in età avanzata. Giovanni Paolo III abolì anche per i Parroci e per i chierici in cura di anime l’obbligo delle dimissioni ad una certa età e anche quello della rotazione degli incarichi, lasciando ai Vescovi l’incombenza di spostarli a piacimento, in caso di necessità. Per sopperire alla scarsezza di vocazioni e per venire incontro alla mentalità di alcune nazioni da evangelizzare, autorizzò, su scala nazionale o continentale, l’ordinazione dei viri probati e uxorati, secondo le norme contenute nelle Lettere di San Paolo, che riguardavano sia gli ordinandi che le loro famiglie. In questi casi, i Diaconi non dovevano avere meno di quaranta anni, i Presbiteri cinquanta e i Vescovi sessanta, ma a questi e alle consorti era richiesta la promessa di continenza. Il Papa preferì sempre scegliere i Vescovi nel clero non uxorato o tra i monaci.

Il Pontefice avviò una pastorale vocazionale globale, basata sulla preghiera liturgica quotidiana apposita per le vocazioni e sull’offerta della sofferenza degli ammalati per suscitare vocazioni, così da incrementare il numero degli ordinati. Al sacerdozio ammise il clero acattolico convertito, all’occorrenza riordinandolo se proveniente da Chiese non dotate di successione apostolica, e anche i battezzati da religioni non cristiane che, nelle proprie confessioni, avevano svolto mansioni sacerdotali. Con questi sistemi e in concomitanza dell’azione di alcuni grandi Santi fondatori di opere sacerdotali, che egli sostenne con ogni mezzo materiale e spirituale, il Papa, alla fine del suo pontificato, aveva 2500000 sacerdoti, ossia un numero di ministri consono a quello dei fedeli battezzati, cresciuti per la grande espansione missionaria avvenuta ai suoi tempi.

Ai Parroci tolse l’obbligo di dimettersi a settantacinque anni, mantenendoli nel ministero attivo fino a quando le condizioni di salute lo permettessero, e quello di cambiare sede ogni nove anni, lasciando ai Vescovi di spostarli per ragioni pastorali. Concesse loro di avere un Vicario Cooperatore – non più Parrocchiale – se i battezzati della Parrocchia superassero le tremila unità, mentre superando le cinquemila, concesse, di duemila in duemila, un Pro-Vicario, fino a un massimo di tre. Laddove poi nelle Parrocchie vi fossero grancie sedi di Priori, concesse che al loro interno il clero arrivasse anche fino a sette unità, con un massimo di tredicimila fedeli, oltre il quale, anche se ci si trovava in aree fortemente urbanizzate o del tutto rurali, la Parrocchia non poteva andare. Sopperì alla scarsezza di clero favorendo lo spostamento di chierici da paesi con molte vocazioni a paesi con meno preti. Il Pontefice diede nuove linee organizzative per le Parrocchie, snellendone le eccessive forme burocratiche ma nello stesso tempo potenziandone le strutture, affidate all’occorrenza ai laici. Il Papa, per facilitare il governo dei Vescovi, confermò, specie nelle metropoli o nelle campagne, l’affidamento delle Parrocchie a gruppi di dieci ai Decani, e a gruppi da undici a trenta agli Arcipreti, che quindi potevano avere sotto di sé anche tre Decani o direttamente i Parroci. Decani e Arcipreti dovevano svolgere funzioni giuridiche e liturgiche di supporto ai Vescovi, ferme restanti quelle dei Vicariati Pastorali. Decani e Arcipreti erano tenuti a vigilare sulla moralità dei chierici e tenevano dei Capitoli periodici, rispettivamente ogni due e ogni tre mesi. Sempre nelle aree densamente popolate o in quelle fortemente ruralizzate, il Papa diede nuovo impulso alle Collegiate che, svolgendo le funzioni parrocchiali, avevano al loro interno chiese rettoriali che servissero un congruo numero di fedeli e i cui Rettori fossero canonici del Capitolo della Collegiata stessa, presieduto dall’Arciprete. In questo modo, prevedendo per le Collegiate almeno dodici canonici, poté erigere in esse Parrocchie che servivano anche diciottomila fedeli. Laddove le Collegiate non avessero rettorie, il Papa incardinò in esse come canonici i Parroci sottoposti all’Arciprete. Non essendo ovunque necessario operare su scala tanto vasta, il Pontefice mantenne le Collegiate tradizionali o le eresse appositamente, laddove, nelle Parrocchie, insistessero Cappellanie, i cui titolari dovevano perciò far parte del clero canonicale. Anche ai Parroci, senza l’obbligo dei Capitoli ufficiali, il Papa attribuì una sorveglianza generica sulla moralità del proprio clero e su quella dei catechisti, dei ministranti, dei collaboratori e dei coreuti. Sempre ai Parroci il Papa mise in capo la responsabilità della formazione spirituale e morale di questi gruppi di fedeli. Al clero in cura d’anime rammentò i tre doveri chiave: la celebrazione liturgica, la formazione dottrinale e quella spirituale dei fedeli loro affidati, anche attraverso la direzione spirituale, e riservando la catechesi degli adulti, delle famiglie, dei gruppi di preghiera, delle associazioni laicali e dei nubendi esclusivamente ai chierici, mentre rammentò la necessità di curare periodicamente e frequentemente la vita spirituale di ammalati, anziani, disabili fisici e mentali mediante le visite a domicilio. Volle che ogni Parrocchia fosse centro di distribuzione di aiuti morali e materiali secondo uno schema ben preciso e organizzato.

Giovanni Paolo III, avendo istituito il Sinodo Diocesano semestrale, abolì nelle Diocesi con fino a 100000 abitanti il Consiglio Presbiteriale, mentre restituì al Capitolo Cattedrale la funzione di senato episcopale, ordinando ai Vescovi di farvi sedere i maggiori ecclesiastici della Diocesi e di riunirlo ogni due mesi personalmente. Accanto al Capitolo, confermò il Collegio dei Consultori, con membri nominati per un mandato quinquennale e da riunirsi anch’esso ogni due mesi. Al Capitolo riservò l’elezione del Vicario Capitolare in caso di morte del Vescovo, al Collegio quella dell’Amministratore Diocesano al momento di suo trasferimento. Il Papa rimise in auge le vecchie norme canoniche e conferì all’Arcidiacono del Capitolo Cattedrale la funzione di coordinare tutti i Diaconi e di emettere sentenze a nome del Vescovo come suo Uditore Giudiziario, all’Arciprete di rappresentare il Vescovo nelle liturgie solenni non affidate al clero parrocchiale, decanale e collegiato, al Penitenziere l’assoluzione dei peccati riservati – con un collaboratore ogni diecimila abitanti – e al Primicerio di svolgere funzioni notarili e di formazione dei cantori.

Estendendo a tutta la Chiesa il sistema romano delle Diaconie, il Pontefice fece dividere le Diocesi in circoscrizioni assistenziali affidate ad un Diacono, la cui popolazione era parametrata sul numero delle persone realmente bisognose e nelle quali il titolare poteva avere come ausilio da uno a due suddiaconi e da uno a quattro accoliti. In quanto alle funzioni religiose dei Diaconi, il Papa stabilì che ognuno servisse da una a quattro Parrocchie. In quanto ai Suddiaconi, precisò che potevano prestare servizio in una o due Parrocchie, con l’ausilio di un Accolito per ognuna. Previde anche un Lettore, un Esorcista e un Ostiario per ogni Parrocchia. In ragione della scarsità del clero di alcune regioni, favorì la concessione ai laici degli Ordini Minori quali Ministeri, concedendo Ostiariato e Lettorato anche alle donne. Concesse altresì il ministero caritativo del Diaconato, del Suddiaconato e dell’Accolitato anche a loro, puntualizzando che esso non era sacramentale e non implicava i poteri liturgici dei corrispettivi maschili. Ai fini dell’assistenza sacramentale domiciliare o di massa, fece aumentare il numero dei Ministri Straordinari dell’Eucarestia, in proporzione di uno a cento per le Comunioni distribuite.

Il Papa ebbe cura che per ogni ufficio pastorale ci fosse un beneficio e che ogni chierico non avesse più di due benefici, di cui uno solo in cura d’anime e che nessuno fosse esentato da tale cura. Invece dotò ogni chiesa, cappella, altare di un patrimonio pastorale per il proprio sostentamento. Affermò ripetutamente che l’amministrazione di questi beni spettava al clero e non ai laici, che potevano avere solo funzioni di supporto. Lanciando un piano edilizio mondiale, il Papa diede ad ogni chiesa una casa canonica per il suo titolare e per i chierici che vi prestavano servizio, anche se non obbligò a risiedervi.

Giovanni Paolo III ebbe una cura costante della disciplina del clero. Ferme restanti le competenze delle Sacre Congregazioni della Dottrina della Fede, della Sacra Liturgia e dei Sacri Canoni, la giurisdizione su di esso spettante al Papa venne esercitata tramite la Sacra Congregazione per il Clero. Sotto Giovanni Paolo III a Roma vennero istruiti 12000 processi canonici per altrettanti chierici e 5000 si conclusero con varie condanne, come deposizione, secolarizzazione, degradazione, sospensione, scomunica. I chierici che abbandonavano l’abito senza il permesso vennero colpiti latae sententiae dalla scomunica. La clerogamia, la pedofilia, l’omosessualità, l’eresia e la simonia furono perseguite energicamente nel clero. Per il clero il Papa rivendicò sempre dinanzi alle potenze secolari l’esenzione dalle imposte sui beni beneficiali e pastorali, l’esenzione dal servizio militare e il foro ecclesiastico – rappresentato dall’Ordinario e dal Metropolita – sia pure applicando la legge civile e penale dello Stato; analogamente chiese che l’ingresso nei luoghi sacri da parte delle forze dell’ordine avvenisse dopo il permesso dell’autorità ecclesiastica, che però doveva essere concesso salvo gravi motivi. Queste pretese, considerate medievali dai suoi detrattori, erano la conseguenza della visione che il Papa aveva della Chiesa come società separata da quella civile e avevano il valore della rivendicazione di principio.

Per cementare il senso dell’unità del clero, il Pontefice ordinò che nel Canone della Messa, dopo il nome del Papa, del Vescovo e dopo il Collegio Episcopale, si citasse tutto l’Ordine Sacerdotale.

Le norme sui religiosi

Giovanni Paolo III, con la decretale Imitatores Christi, diede norme sistematiche per la riorganizzazione e il rilancio della vita consacrata. I principi base della sua azione furono i seguenti: la restaurazione, per quanto possibile, degli Statuti e delle Costituzioni originarie; la repressione degli abusi; la pastorale vocazionale rafforzata dalla preghiera pubblica quotidiana della Chiesa e dall’offerta propiziatrice della sofferenza da parte di ammalati e disabili; il rilancio delle forme tradizionali e l’approvazione di forme nuove di vita consacrata; la riorganizzazione delle strutture degli Ordini e degli Istituti.

Il Papa, collaborando con una generazione intera di fondatori e innovatori religiosi, quali [-], diede un forte impulso ad ogni forma di vita consacrata. Riuscì a rilanciare l’eremitismo, favorendo insediamenti solitari di asceti nei pressi di grandi monasteri e prendendo queste persone sotto la protezione della Santa Sede. Ebbe molto a cuore il monachesimo, sia femminile che maschile, sia nella forma cenobitica che in quella idiorritmica, lavorando incessantemente perché ogni Diocesi avesse almeno un monastero maschile e uno femminile. Diede impulso alle Congregazioni e agli Ordini monastici tradizionali, facendo sì che si diffondessero nei paesi dove non erano mai stati insediati e che rifiorissero in quelli ove erano tradizionalmente presenti, mediante l’insediamento di monaci stranieri, mentre diede nuova vita ad alcune congregazioni estinte, assecondando l’opera dei riformatori. Destinò una particolare attenzione agli Ordini di vita contemplativa, facendo sì che vi fosse almeno una loro fondazione maschile e una femminile in ogni Diocesi. Diede loro impulso con lo stesso sistema adoperato per le Congregazioni monastiche, avvantaggiato dall’azione di molti riformatori. Il Papa puntò, come da sempre nella Chiesa, sugli Ordini Mendicanti come supporto per il clero secolare nell’evangelizzazione e nella cura d’anime. Volle che ci fosse un convento di frati e uno di suore in ogni città, adoperando sempre il medesimo sistema descritto sopra. Per aumentare l’appeal delle vocazioni monastiche, contemplative e mendicanti, Giovanni Paolo III riportò le forme di vita consacrate corrispondenti alle forme rigide delle origini, constatando che l’austerità attirava le anime più delle comodità. Come abbiamo visto, egli incrementò la vita comunitaria del clero, per cui sostenne con ogni mezzo gli Istituti di Chierici e Canonici Regolari. Alla stessa maniera appoggiò energicamente gli Istituti di vita caritativa, sia maschili che femminili, approvando duecentocinquanta nuove regole e fondazioni. Il Papa innovò anche le Società di Vita Apostolica, sia maschili che femminili oltre che misti, stabilendo che esse potessero essere fondate anche su scala provinciale, regionale, nazionale e internazionale, venendo approvate da Metropoliti, Metropoliti Maggiori e Primati quelle locali e dalla Santa Sede quelli mondiali, nel numero complessivo di ottocentosettanta. Diede impulso agli Istituti Secolari, approvandone centocinquanta nuovi, sia maschili che femminili oltre che misti, incoraggiando anche i chierici ad aderirvi. Infine, Giovanni Paolo III rilanciò gli antichi Ordini, ossia delle Vergini e delle Vedove, in cui si entrava con promessa semplice di castità e di uso moderato dei beni, istituendone anche le forme corrispettive maschili, nelle quali favorì al massimo le vocazioni sacerdotali e diaconali, anche mature.

Da un punto di vista organizzativo, il Papa confermò l’equiparazione degli Abati e delle Badesse ai Vescovi, con la relativa normativa equivalente e con l’obbligo dei Capitoli abbaziali quattro volte l’anno. Confermò altresì, laddove esistente, la soggezione degli Abati semplici a quelli Primati, stabilendo che i relativi Capitoli Generali fossero almeno annuali. Laddove gli Abati erano anche Ordinari, il Papa li confermò nelle funzioni episcopali. Laddove invece le funzioni erano state separate, egli le riunificò, come a Montecassino. Egli stesso investì nuovi Abati Ordinari. Potenziò le Curie abbaziali e quelle abbaziali primaziali. Stabilì che gli Abati e le Badesse, sia primati che semplici, avessero le proprie Censure, per la lotta all’eresia e la repressione degli abusi nelle loro giurisdizioni. Negli Ordini religiosi e negli Istituti di Vita Consacrata il Papa prescrisse adunanze ufficiali per le fondazioni singole due volte l’anno e per le province una volta all’anno. Confermò i poteri dei Provinciali e dei Generali e rafforzò le Curie provinciali e generalizie per l’esecuzione dei deliberati capitolari, impiantando anche là Censure proprie, operanti nelle rispettive circoscrizioni. Nelle Società di Vita Apostolica prescrisse un Superiore per ogni casa e per ogni grado di circoscrizione ecclesiastica in cui erano esistenti, riaffermando la connessione tra tali Società e la Gerarchia del clero secolare. Da tali superiori dipendevano le Censure interne alle Società, per ciascuna loro giurisdizione territoriale. Le adunanze circoscrizionali previste avevano le medesime cadenze di quelle delle circoscrizioni ecclesiastiche corrispondenti, tranne quelle delle singole case, che erano quattro all’anno. Negli Istituti Secolari previde adunanze sulla base delle circoscrizioni con cadenza simile a quella degli Istituti di Vita Consacrata, istituendo anche nei vari gradi della loro amministrazione le rispettive Censure e favorendo la vita associata dei loro professi. Infine, per gli Ordini verginali e viduali, previde riunioni su base cittadina o diocesana, quattro volte l’anno, e altre riunioni per ogni ordine e grado della Gerarchia ecclesiastica, due volte nelle province ecclesiastiche, una nelle regioni, una biennale a livello nazionale e a livello internazionale. Intitolò decani e decane i responsabili del coordinamento degli Ordini ad ogni livello circoscrizionale, definendoli diocesani, metropolitani, metropolitani maggiori, primaziali e generali. A costoro però non concesse l’istituzione di Censure ad intra, mantenendoli assoggettati a quelle episcopali.

Il Pontefice riconobbe tutti gli Ordini Monastico Cavallereschi, da lui ridefiniti Milizie Monastiche, oltre a quelli già riconosciuti dalla Santa Sede, purché accettassero due condizioni: che il governo interno fosse affidato solo ai Professi e che all’occorrenza questi avessero aggio sui blasonati, ammettendo alle loro fila anche semplici borghesi. Promosse la vita associata sia dei Cavalieri Professi che di quelli di Obbedienza e delle rispettive Dame, ma in quattro tipi di case distinte. Impiantò, laddove mancava e fosse necessaria, la circoscrizione provinciale, in aggiunta e in subordine a quella nazionale, e confermò il diritto del Papa di confermare i Grandi Maestri eletti, ai quali concesse le Censure magistrali, per la repressione degli abusi e la lotta all’eresia nei loro Ordini.

Il Papa sciolse tutte le unioni dei superiori religiosi esistenti e le sostituì con l’Unione Mondiale Permanente dei Superiori Religiosi e con quella delle Superiore Religiose, sottoposta alla Sacra Congregazione per i Religiosi e dividendole in gruppi trasversali per tipologie di Istituti. Riservò a sé la nomina dei Presidenti dei due rami non solo a livello mondiale, con sede a Roma, ma anche per ogni nazione o continente.

Giovanni Paolo III inculcò nei religiosi i doveri del proprio stato, mediante l’osservanza scrupolosa dei voti, delle costituzioni, delle regole, degli statuti. Impose loro di indossare l’abito, di tonsurarsi se uomini e velarsi se donne, di celebrare o partecipare alla Messa, di recitare l’Ufficio e il Rosario, di meditare e leggere la Bibbia quotidianamente e li esortò a praticare in forma almeno privata le devozioni da lui inculcate nel popolo se compatibili con quelle previste dal loro carisma. Li invitò a tendere decisamente alla santità. Confermò la proprietà della Santa Sede dei beni di quegli Ordini o Congregazioni che volevano professare la povertà anche collettivamente e ribadì il principio della liceità dell’uso moderato dei beni. Concesse la povertà collettiva a tutti gli Istituti che la volevano, abrogando norme eventualmente contrarie. Prescrisse regole più severe per i novizi e le novizie. Abolì case, conventi e abbazie con pochi membri, pur mantenendone la proprietà ai rispettivi Ordini. Svolse una indagine sistematica tra gli Ordini e gli Istituti, sopprimendo quelli eccessivamente decaduti moralmente, troppo privi di membri o incapaci di raggiungere gli scopi per cui erano stati fondati, per poi ridistribuirne i superstiti tra altre forme di vita religiosa. Altri Ordini furono da lui riformati sostituendo Generali e Provinciali incapaci con persone di sua fiducia o affiancandoli con Commissari Apostolici. In genere, vennero aumentate le competenze dei Cardinali Protettori nel governo degli Ordini.

La giurisdizione sugli Ordini fu esercitata tramite la Congregazione per i Religiosi e le Religiose, dinanzi alla quale furono istruiti, nel corso del papato di Giovanni Paolo, 3000 processi maschili e 5000 femminili, conclusisi rispettivamente con 1500 e 2000 condanne, formulate come deposizioni, degradazioni, secolarizzazioni, sospensioni e scomuniche. I religiosi e le religiose che abbandonavano l’abito senza permesso vennero scomunicati latae sententiae. La violazione dei voti, l’omosessualità, la pedofilia, la simonia, l’eresia e la fornicazione furono severamente perseguite.

La pastorale vocazionale promossa dal Papa, basata sulla preghiera liturgica quotidiana apposita per le vocazioni e sull’offerta della sofferenza degli ammalati per suscitare vocazioni, in concomitanza con l’espansione del Cattolicesimo e con l’azione di nuovi Fondatori e l’Unione delle Chiese, fece sì che il numero dei religiosi aumentasse, in quanto tra essi vennero annoverati anche quelli delle Chiese ora unite e quelli che avevano professato il monachesimo nelle religioni non cristiane, quando vollero continuare a farlo nel Cattolicesimo. Alla morte del Papa, i religiosi erano 750000, le religiose 2500000, mentre negli ordini verginali e viduali vi erano 1500000 vergini, 800000 celibi virtuosi, 3000000 vedove e 1000000 vedovi.

Per quanto concerne poi alcuni interventi specifici, ricordiamo: la possibilità concessa ai nuovi Canonici regolari fondati sotto il suo Papato di confederarsi coi Lateranensi, coi Premostratensi, coi Teutonici, coi Fratelli della Croce, con quelli dell’Immacolata, coi Crocigeri, con quelli di Sant’Agostino, con gli Ospedalieri del Gran San Bernando e coi Vittorini; la fondazione di sessantadue nuove congregazioni dei Benedettini Confederati, così da coprire tutto il mondo; la fondazione di quattro nuove congregazioni cassinesi continentali e l’allargamento di quella originaria sul continente europeo con la federazione ad essa di altri monasteri; l’allargamento con nuovi monasteri delle congregazioni vallombrosiana, olivetana, silvestrina, di Casa Mari, trappista, mechitarista, camaldolese e paolina; la federazione di molti nuovi eremitaggi con quello di Monte Corona; l’autonomia della rinata congregazione cluniacense; la fondazione della Conferenza permanente delle fondazioni di regola benedettina e di quella delle fondazioni di regola cistercense; la fondazione di nuove Certose; il sostegno all’espansione dei Cistercensi in Africa Asia e America Latina; il sostegno all’espansione degli Antoniani caldei  e maroniti nel Medio Oriente e nelle Americhe; la fondazione della Conferenza permanente delle fondazioni di regola antoniana e di quella delle fondazioni di regola basiliana; l’aggregazione ai Basiliani di Grottaferrata di altre case e abbazie in tutto il mondo; l’impulso dato ai Gerolamiti in trenta paesi; la fondazione della Confederazione degli Ordini mendicanti di regola agostiniana, di quelli di regola francescana, di quelli di regola domenicana, di quelli di regola carmelitana e di quelli di regola paolana; la restaurazione del carisma francescano nell’OFM; l’estensione delle opere ospedaliere e sanitarie dei Fatebenefratelli a novantadue paesi; l’assegnazione di importanti santuari mariani ai Servi di Maria e ai Montfortiani; l’estensione delle opere educative degli Scolopi a centoquattro paesi e dei Barnabiti ad ottantacinque; la restaurazione del carisma ignaziano nella Compagnia di Gesù; l’estensione delle opere ospedaliere dei Camilliani a novantatre paesi; la rifondazione dei Legionari di Cristo; l’estensione delle attività per i sordomuti della Compagnia di Maria in ottantacinque paesi; l’estensione delle opere di formazione dei Filippini in ottanta paesi; l’estensione delle opere dei Fratelli dei Poveri in settantadue paesi; l’aumento sistematico delle missioni affidate ad ogni istituto missionario; l’estensione della pastorale vocazionale dei Vocazionisti a ottantanove paesi; la restaurazione del carisma nella Società di Maryknoll; l’estensione dell’attività dei Cottolenghini a settantacinque paesi e di quella dei Pallottini a settanta; la conferma della celebrazione nel Vetus Ordo alla FSSP e ai FI; l’aumento sistematico delle opere di formazione sacerdotale affidate ad ogni Istituto operante nel settore; la confederazione degli istituti di regola vincenziana; l’estensione dell’apostolato della cultura e di quello sociale dei Sodalisti a quaranta paesi; l’aumento sistematico delle case dei Chierici Regolari; l’estensione delle opere sociali dei Somaschi a cinquanta paesi;

l’estensione delle opere dei Mercedari a cinquanta paesi; l’estensione dell’attività educativa dei Fratelli delle Scuole cristiane a centoquaranta paesi; la creazione di organismi di raccordo tra istituti maschili e femminili aventi la medesima ispirazione religiosa (agostiniana, camilliana, benedettina, domenicana, salesiana ecc.); l’aumento sistematico delle case delle religiose dedite ad opere sociali;  la Conferenza permanente delle fondazioni femminili di regola agostiniana; quella delle fondazioni femminili di regola benedettina, comprese le riformate; quella delle fondazioni femminili carmelitane; quelle delle fondazioni femminili domenicane e quelle delle fondazioni femminili francescane; la fondazione di monasteri femminile benedettini in centoquattro paesi; l’estensione dell’attività di formazione dei Dottrinari a trenta paesi; l’estensione delle attività massmediatiche della Società San Paolo a duecento paesi e di quelle sociale degli Orionini a centodieci; la trasformazione degli ordini equestri pontifici del Cristo e Piano in Ordini monastico cavallereschi; l’esortazione agli aristocratici cattolici ad entrare nelle milizie monastiche.

Il Papa valorizzò gli Ordini, scegliendo molti vescovi e cardinali tra le loro fila e conducendo a termine tutti i processi di beatificazione e canonizzazione iniziati per i Fondatori, oltre ad avviarne di nuovi. Sancì la sottomissione dei religiosi e delle religiose al foro ecclesiastico, in una forma autonoma per loro, nonché l’inviolabilità delle loro case senza il consenso dell’autorità religiosa, l’esenzione dalle imposte per i loro beni e dal servizio militare, la loro iscrizione ad uno stato civile a parte e la sospensione dei diritti di proprietà individuali come dalle regole di ogni istituto, ma queste norme non furono sempre accettate dagli Stati. Dotò ogni Ordine e Istituto, nonché le loro partizioni amministrative e le loro case, dei beni sufficienti per lo svolgimento delle loro attività e per il mantenimento dei membri, dividendone le amministrazioni.

Le norme sul laicato

Fu con la decretale Christifidelium Laycorum Coetus che Giovanni Paolo III pose mano al suo progetto riformatore del laicato. Diede un vigoroso impulso ai Terzi Ordini, dal francescano al domenicano al carmelitano all’agostiniano, facendo sì che partecipassero alle Conferenze Permanenti degli Istituti delle rispettive regole. Concesse la Prelatura Personale a tutte le Associazioni Pubbliche Internazionali di Fedeli Laici e a quelle Pubbliche Nazionali, mentre volle che le Associazioni Private Internazionali di Fedeli Laici avessero dei Vicari Prelatizi, in quanto volle che invalesse il principio che laddove vi fossero laici e religiosi insieme, il governo non poteva essere esercitato da un laico. Alle Associazioni Pubbliche e Private non internazionali decise che provvedessero gli ecclesiastici di maggior rango alla cui giurisdizione esse fossero sottoposte, mediante Vicari episcopali. Incoraggiando la fondazione di nuove Associazioni con forme miste di vita, stabilì che i fondatori, in deroga alla sua stessa norma, mantenessero, se volevano, il governo delle loro creazioni, indipendentemente dalla loro condizione o sesso, assumendo essi stessi la funzione vicariale. La differenza tra il Prelato e il Vicario stava nel fatto che il primo aveva poteri episcopali, il secondo no, svolgendo solo funzioni amministrative. Sotto il suo pontificato, grazie all’azione dei fondatori nacquero duecento nuove Associazioni Pubbliche e quattrocento nuove Associazioni Private, ma il Papa stabilì che, prima di concedere la Prelatura e il Vicariato, dovessero passare rispettivamente dieci e sette anni. Volendo dare impulso all’apostolato dei laici, Giovanni Paolo III fondò l’Organizzazione Internazionale di Apostolato di Azione Cattolica o Azione Cattolica Internazionale, federando le varie Azioni Cattoliche nazionali che egli volle che a sua volta nascessero in tutte le Chiese nazionali, per supportare l’attività liturgica, catechetica e formativa del clero, ma anche per orientare cristianamente i fedeli in politica, economia, società e cultura. Invogliò i fedeli che prestavano aiuto nelle Parrocchie ad iscriversi alle sezioni parrocchiali di Azione Cattolica e stabilì che i Responsabili parrocchiali fossero nominati dai Vescovi su consiglio dei Parroci. I Vescovi dovevano poi nominare il Presidente diocesano, coadiuvato dal Consiglio Direttivo, eletto dall’Assemblea Generale, formato dai Responsabili parrocchiali, mentre i rappresentanti delle sezioni parrocchiali partecipavano con diritto di voto al Congresso Diocesano. Esso si doveva riunire due volte l’anno, mentre l’Assemblea Generale quattro volte. Toccava poi ai Metropoliti eleggere i Presidenti provinciali, affiancati da un Consiglio Direttivo, eletto dai Presidenti diocesani riuniti in Assemblea Generale, mentre i rappresentanti delle Azioni Cattoliche Diocesane si riunivano nel Congresso Provinciale. L’Assemblea si riuniva due volte l’anno e il Congresso una volta. Il Metropolita Maggiore eleggeva il Presidente Regionale, coadiuvato dal Consiglio Direttivo, eletto dai Presidenti Provinciali riuniti in Assemblea Generale, mentre i rappresentanti provinciali e diocesani andavano a Congresso Regionale. Questo si teneva ogni due anni e quella due volte all’anno. Infine, a livello nazionale, il Primate nominava il Presidente, assistito dal Consiglio Direttivo, eletto dai Presidenti Regionali riuniti in Assemblea Generale, mentre i delegati provinciali e regionali componevano il Congresso Nazionale. Questo si teneva ogni quattro anni e quella due volte l’anno. Al vertice, il Presidente Generale era nominato dal Papa ed era assistito dal Consiglio Direttivo Centrale, eletto dai Presidenti Nazionali riuniti in Assemblea Generale, mentre i delegati nazionali e regionali tenevano il Congresso Internazionale. La prima si teneva una volta all’anno e l’altro ogni quattro. Ad ogni livello organizzativo si distinguevano un coordinamento maschile, femminile, familiare e giovanile. A fianco dell’ACI, il Papa istituì, per la formazione politica, economica e sociale, i Comitati Civici, parrocchiali, diocesani, provinciali, regionali e nazionali, mentre per quella culturale fondò i Centri di Studio, di analoga articolazione, retti da Coordinatori, nominati dai prelati competenti su consiglio dei rispettivi Presidenti di AC e consultati i corrispondenti Direttivi.

Il Papa diede inoltre un vigoroso impulso anche alle Confraternite e alle Arciconfraternite, dando a loro le funzioni religiose dell’AC nelle chiese dove operavano e riservando ai Vescovi la nomina dei Priori e dei Grandi Priori. Infine, il Pontefice rinnovò e ampliò i privilegi spirituali delle Pie Unioni, delle Pie Associazioni e dei Pii Sodalizi, concedendo ad alcuni il diritto pontificio e impiantandoli ovunque nel mondo. Giovanni Paolo III promosse in ogni Parrocchia l’Apostolato della Preghiera del Sacro Cuore – ripristinandone il nome originario – quello dell’Apostolato della Riparazione al Sacro Cuore, la Pia Unione del Preziosissimo Sangue, la Pia Unione del Santo Bambino di Praga e quella del Transito di San Giuseppe, mentre istituì quelle della Regalità di Cristo, dei Santi Nomi di Gesù e Maria, della Divina Misericordia, di San Michele Arcangelo e del Perpetuo Suffragio. Favorì i gruppi di preghiera, a cominciare da quello di Padre Pio, a cui concesse il diritto pontificio.

I capi delle Associazioni laicali, delle AC nazionali e i delegati dei Priori confraternali, nonché i direttori delle Pie Unioni internazionali e i rappresentanti di quelle locali furono riuniti nell’Unione dei Presidenti delle Associazioni di Apostolato di Azione Cattolica, presso la Congregazione dei Laici, con un Presidente nominato dal Papa.

In quanto al raccordo dei laici impegnati, il Papa confermò le funzioni dei Consigli Pastorali Parrocchiali e Diocesani, istituì quelli Provinciali, Regionali e Nazionali e fondò quello Mondiale, con sede a Roma. Volle che vi sedessero i rappresentanti delle associazioni laicali, presenti in ogni ordine e grado delle circoscrizioni ecclesiastiche, e nelle Parrocchie i più intimi collaboratori dei Parroci. Stabilì che i Presidenti fossero nominati dai Parroci, dai Vescovi, dai Metropoliti, dai Metropoliti Maggiori, dai Primati e riservò a sé la nomina del Presidente del Consiglio Mondiale, di solito affidandola al Prefetto della Sacra Congregazione dei Laici. Giovanni Paolo III organizzò le Assemblee Parrocchiali e Diocesane sul modello di Cracovia negli anni dell’Arcivescovo Wojtyla. I fedeli ivi radunati, nelle sessioni loro riservate, erano chiamati a formulare proposte pastorali o anche di contenuto socio-politico, che i Parroci dovevano poi portare alle Assemblee Diocesane; in esse, tramite i Vescovi, le medesime proposte erano portate nei Concili Provinciali, Regionali, Nazionali, nelle Conferenze Episcopali e nel Sinodo dei Vescovi a Roma. Il Papa proibì, sotto pena di scomunica, che le Assemblee esprimessero pareri su questioni dottrinali e disciplinari, ribadendo che il governo della Chiesa apparteneva solo al clero.

Al fine di mantenere il costante raccordo del laicato attivo, il Pontefice istituì la Pontificia Opera dei Congressi Internazionali del Laicato Cattolico, presieduta dal Prefetto della Sacra Congregazione dei Laici. Divisa in tre Unioni – religiosa, politico culturale, economico sociale – rette da altrettanti Segretari, l’Opera organizzava Congressi mondiali quinquennali. Aveva sezioni nazionali, regionali, provinciali, diocesane, coi rispettivi Presidenti nominati dai prelati corrispettivi e con le relative Unioni, le quali organizzavano Congressi quadriennali, biennali, annuali e semestrali. Inoltre, il Papa tenne viva la tradizione dei grandi raduni internazionali: la Giornata Mondiale della Gioventù e quella del Laicato Cattolico – da lui istituita – un anno l’una e un anno l’altra; la Giornata Mondiale delle Famiglie, ogni due anni; la Giornata Mondiale dei Malati, ogni tre. Furono occasioni per riunire pubblicamente i fedeli in grandi città, in capitali e in località di santuari importanti. L’esistenza delle Unioni politico culturale ed economico sociale diede poi al Papa l’occasione per obbligare tutte le associazioni di settore che si volevano qualificare come cattoliche o di cattolici di aderirvi, di togliere loro tale riconoscimento se non si fossero attenuti alle norme di riferimento della Chiesa, di esortare i cattolici a darsi in ogni stato uno o due partiti e sindacati ispirati alla dottrina sociale e di fondare anche associazioni sindacali di categoria padronale e di riunirle nella Federazione Mondiale delle Organizzazioni Politiche e Sociali Cristiane, di spingerli a costituire organizzazioni culturali ispirate ai pensatori e agli intellettuali cattolici e ad avviare attività produttive e di servizio basate sull’insegnamento cattolico, di legare ai movimenti ecclesiali internazionali branche autonome operanti in politica, nel sociale e in economia.

Il Papa ebbe a cuore la disciplina e l’ortodossia dei laici impegnati. Prescrisse che i catechisti facessero corsi di formazione dottrinale organizzati dagli Istituti di Scienze Religiose presso le Parrocchie o anche a distanza e che anche gli animatori liturgici facessero lo stesso per il loro campo. Ordinò che i collaboratori dei Parroci e del clero in cura d’anime fossero scelti in base alla loro condotta di vita e che fossero esclusi da incarichi pastorali divorziati, conviventi, omosessuali e altre persone che potessero dare scandalo. Diede ai Parroci l’incombenza di verificare periodicamente l’ortodossia dei propri collaboratori e la loro condotta privata, nonché di allontanarli in caso di inadempienza dei loro doveri. Tutti coloro che entravano nelle Associazioni laicali dovevano dare garanzia di moralità e ortodossia. I catechisti e i responsabili delle stesse Associazioni dovevano giurare fedeltà alla Chiesa. Questi ultimi rispondevano della ortodossia e della disciplina dei propri iscritti. I prelati di ogni ordine e grado erano responsabili della condotta e delle idee dei laici impegnati nella loro giurisdizione. I Prelati delle Prelature avevano una loro Censura interna. Le competenze della Santa Sede in materia erano esercitate dalla Sacra Congregazione per i Laici, dinanzi alla quale furono istruite 100000 cause, delle quali 53000 si chiusero con condanne, che prevedevano censure come la degradazione, la destituzione, la decadenza, l’espulsione, la sospensione, il divieto di accostarsi ai Sacramenti, la scomunica e altre pene spirituali. Il Papa fece svolgere una indagine tra i vari movimenti e le varie associazioni e soppresse, in tutto o in parte, quelle fondazioni incapaci di raggiungere i loro scopi per mancanza di mezzi morali o materiali. Alcune vennero commissariate o dalla Santa Sede o dall’Ordinario competente per mandato papale, altre vennero provviste di nuovi superiori.

Una intensa pastorale vocazionale laicale, basata sulla preghiera liturgica quotidiana apposita per le vocazioni e sull’offerta della sofferenza degli ammalati per suscitare vocazioni e supportata dal ritorno alle costituzioni, agli statuti e alle regole originarie, unita all’espansione missionaria coincisa col suo Papato, fece sì che sotto Giovanni Paolo III i laici impegnati nell’apostolato diventassero trenta milioni in tutto il mondo, e dopo la sua morte, sviluppando le iniziative da lui prese, raggiunsero la cifra di cinquanta milioni. Il Papa poi, per aumentare il prestigio delle Associazioni, concluse i processi di canonizzazione dei Fondatori Beati e quelli di Beatificazione dei Venerabili, avviando quando possibile nuovi processi.

Il Papa scelse spesso Vescovi e Cardinali tra i membri ecclesiastici delle Prelature e delle Associazioni. Affidò loro intere diocesi, province e regioni nei paesi di vecchia e nuova missione. Per quanto concerne gli atti più specifici, possiamo citare il raddoppio dei membri e delle attività pastorali dell’Opus Dei e di Comunione e Liberazione; la scelta di molti prelati e laici del primo per la Curia di Roma e della seconda per la Chiesa Italiana e per le altre Chiese dove essa operava; il raccordo stabile tra le Comunità di Vita Cristiana e la Compagnia di Gesù e l’inserimento di sacerdoti e religiosi nella prima per erigerla in Prelatura; la correzione delle tendenze pauperistiche e della teologia della liberazione nelle CVX; la ristrutturazione delle Comunità Neocatecumenali per erigerle in Prelatura e il raddoppio dei loro effettivi; il raddoppio degli effettivi dei Cursillos di Cristianità e la loro ristrutturazione per erigerli in Prelatura; la stessa concessione al Rinnovamento dello Spirito Santo e l’approvazione di una loro liturgia; la correzione o soppressione dei Movimenti di Liberazione dell’America Latina; il raddoppio degli iscritti e delle attività della Milizia dell’Immacolata, di Nuovi Orizzonti e dell’Associazione Papa Giovanni XXIII; la diffusione dei Movimenti di Spiritualità e di Apostolato Familiare e dei Movimenti Missionari Giovanili in tutte le Diocesi; la riorganizzazione del Movimento Chiesa Mondo e delle sue Comunità Ecclesiali di Base per la concessione della Prelatura, la riforma del carisma e la diffusione in Europa, Americhe e Oceania; la concessione della Prelatura al Movimento Oasi e a quello Pro Sanctitate e il raddoppio dei loro membri; la concessione della Prelatura all’Opera di Maria, a quella di Schonstatt e al Sodalitium Christianae Vitae con la triplicazione dei membri e delle attività; l’estensione delle attività della Gioventù Ardente Mariana; il raddoppio del numero dei membri dei Terzi Ordini Secolari.

Giovanni Paolo III riservò alla propria giurisdizione le controversie tra le Associazioni laicali pubbliche e tra quelle private internazionali, lasciando quelle tra le private alla competenza degli Ordinari di riferimento; riservò altresì alla sua autorità la giurisdizione sui responsabili centrali delle stesse Associazioni, mentre i vari responsabili periferici erano lasciati a quella dei prelati competenti. Il Papa avocò a sé anche la giurisdizione sull’Azione Cattolica Internazionale e su quelle nazionali e sui relativi responsabili ed esponenti degli organismi centrali, lasciando ai Vescovi le competenze sui capi locali e sulle Azioni Cattoliche relative. In genere, le Pie Unioni e simili di diritto pontificio vennero assoggettate alla giurisdizione papale. Il Pontefice rivendicò per le Associazioni laicali una serie di prerogative: l’estensione della giurisdizione papale ed episcopale su di essi e sui loro responsabili nell’esercizio delle loro funzioni al campo civile e penale, sia pure sulla scorta della legge statuale e l’esenzione dalle imposte per i beni necessari per lo svolgimento del loro compito. Queste rivendicazioni di principio non furono sempre accettate dagli stati.

Il Papa provvide a che tutte le Prelature Personali, le Associazioni Internazionali e locali pubbliche e private dei fedeli laici, l’Azione Cattolica Internazionale e quelle nazionali, regionali, provinciali, diocesane e parrocchiali, le Confraternite, le Arciconfraternite, le Pie Unioni, i Pii Sodalizi, le Pie Associazioni avessero un loro patrimonio per sostentare le loro attività e stipendiare i dipendenti. Lo stesso provvide a fare per le associazioni culturali e socio caritative cattoliche, lasciando alle politiche e sindacali di sostentarsi da sé.

Per quanto poi riguardava il laicato comune e non impegnato, il Papa diede indicazioni per la sua santificazione attraverso una serie di Esortazioni Apostoliche rivolte alle sue varie categorie e alla loro cura d’anime: bambini, giovani, donne, uomini, famiglie, anziani, malati, disabili e altre ancora. I principi base erano la frequenza ai Sacramenti, l’osservanza dei Comandamenti e dei Precetti della Chiesa, la professione integra e consapevole della fede, l’istruzione religiosa personale e collettiva attraverso apposite iniziative periodiche del clero, l’ispirazione dai consigli evangelici e dalle beatitudini, la pratica delle opere di misericordia, la preghiera quotidiana mattina e sera e la recita del rosario, la lettura della Bibbia, la meditazione, la direzione spirituale, lo sforzo ascetico, la scelta di un modello spirituale e di una tipologia di spiritualità, la predisposizione di un piano di vita, la collaborazione alle attività pastorali della Chiesa, il lavoro svolto cristianamente, la devozione alle Tre Persone Divine e alla Vergine, quella ai Santi, in particolare ai Patroni della Chiesa Universale e all’Angelo Custode, il suffragio dei Defunti, la perseveranza nello stato di vita, l’offerta della sofferenza.

Le norme sulle Chiese orientali e occidentali di diritto proprio

Il Papa considerò i Patriarchi delle Chiese Orientali come dotati di un potere non solo delegato da lui ma anche di un munus apostolico, quando essi succedevano ad un Apostolo; intese la delega pontificia come tale da permettere loro di partecipare al carisma dell’Apostolo Pietro, in un modo più pieno dei Primati e dei Metropoliti, in quanto appunto essi avevano una successione episcopale nella propria sede che risaliva ad un Apostolo. Con la lettera decretale Sedes Apostolicae Giovanni Paolo III rafforzò la struttura delle Chiese Orientali e ne aumentò l’autonomia.

In quanto al primo punto, istituì in tutte loro, laddove fosse possibile, sia le Province che le Regioni ecclesiastiche, con i relativi Metropoliti Maggiori; negli stati dove le Chiese Orientali erano fiorenti ma in cui non risiedeva il Patriarca del rito esistente, volle che, quasi come Primati, fossero istituiti Vicari Patriarcali Maggiori. Prescrisse altresì la medesima periodicità dei Sinodi locali che aveva stabilito in Occidente, salvo altre norme vigenti, e ordinò che un Concilio Generale di ogni Patriarcato di ciascun rito si tenesse ogni cinque anni in concomitanza con quello della Chiesa Latina. Nelle Chiese di rito orientale con più Patriarcati, conferì al Patriarca più antico la qualifica di Supremo e Universale, col privilegio di convocare lui il Concilio Generale dei vari Patriarcati a lui soggetti e di sovrintendere agli altri Patriarchi del suo rito nell’ambito delle norme del diritto. Questa norma, in ultima analisi, valse solo per la Chiesa Melchita, in cui il Patriarca di Alessandria ebbe il primato su quelli di Antiochia e Gerusalemme e in cui il Concilio Generale quinquennale seguì a quelli Nazionali quadriennali, che nelle altre Chiese Patriarcali non c’era. Quando poi l’Unione delle Chiese autocefale con Roma fu conclusa, questa norma del Patriarcato primaziale venne estesa anche ai gruppi di Chiese patriarcali con un medesimo rito. Il Papa riconobbe la qualifica di Supremo e Universale anche ai Patriarchi di Alessandria e Antiochia uniti a Roma, di qualsiasi rito non latino, più a quei Patriarcati che egli stesso istituì e che ora menzioneremo. Egli infatti, nell’ambito del potenziamento delle Chiese Orientali, elevò al rango di Patriarchi gli Arcivescovi Maggiori di Alba Julia e di Leopoli degli Ucraini, nonché quello dei Malabaresi; indi elevò al rango di Arcivescovi Maggiori i Metropoliti d’Etiopia e dei Malankaresi, salvo poi concedere anche ad essi il Patriarcato. I neo Patriarchi dei Malabaresi e dei Malankaresi ebbero la qualifica di Supremi e Universali. Lo stesso titolo toccò ai Patriarchi copto, siriaco, maronita e caldeo. Il Papa rifondò il Patriarcato, anch’esso Supremo e Universale, di Gerusalemme per i Giudeo Cristiani, dandogli giurisdizione su tutti gli Ebrei convertiti al Cristianesimo e che seguissero la liturgia di San Giacomo e gli usi mosaici consentiti nel NT. Il Pontefice separò i tre Patriarcati melchiti l’uno dall’altro, creando le Chiese autonome di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, sotto l’egida della prima. Confermò ovviamente i Patriarcati di Cilicia degli Armeni e di Babilonia dei Caldei. Giovanni Paolo III inoltre elevò al rango di Arcivescovo Maggiore il Metropolita Ruteno degli USA (a cui solo in un secondo momento impose di partecipare al Concilio Generale del Patriarcato di Kiev), istituì una Eparchia greco cattolica in Bielorussia; una Provincia ecclesiastica in Bulgaria con tre Eparchie e una per Grecia Cipro e Turchia, con quattro Eparchie; una della Bosnia Serbia Montenegro Albania e Macedonia, con cinque Eparchie; una per la Slovacchia, una per l’Ungheria, una per la Boemia, ciascuna con tre Eparchie; una per la Russia il Caucaso l’Asia Centrale la Mongolia e la Manciuria con sede a Samarcanda con otto Eparchie; una per l’Italia con sede a Grottaferrata con un Abate Metropolita e tre Eparchie. Fondò un’Eparchia per ogni paese baltico e per la Finlandia e, assieme a quella bielorussa, le unì alla Provincia Russa. Infine, raggiunse l’obiettivo di avere greci uniti a Roma fondando anche una Eparchia cattolica in Cina e una in Giappone.

In quanto al secondo punto, il Papa affermò che al Patriarca spettava di diritto, nella sua Chiesa, fatte salve le competenze del suo Concilio Generale, di quello Ecumenico e della Santa Sede, di custodire il deposito della fede, esercitare un magistero vincolante nella sua giurisdizione e perseguire gli eretici; di garantire la purezza del culto e punire i sacrileghi; di legiferare e interpretare i canoni e di punire i contravventori delle leggi; di eleggere e investire i Vescovi, i Metropoliti e i Metropoliti Maggiori – restando al Papa la conferma dell’elezione; di fondare, abolire, accorpare, dividere e modificare diocesi, province e regioni ecclesiastiche – con la notifica alla Santa Sede; di approvare i canoni dei Concili provinciali e regionali – ferma restante la comunicazione al Papa; di nominare gli eventuali Vicari Patriarcali – con la notifica al Papa; di convocare, presiedere e concludere i Concili del Patriarcato e, se egli è Supremo e Universale, di fare lo stesso coi Concili Generali delle Chiese Patriarcali del suo rito, approvandone i canoni e curandone l’applicazione – ferma restante la ratifica del Pontefice Romano; di giudicare in prima istanza le vertenze interregionali, in seconda istanza quelle interprovinciali e in terza quelle interdiocesane –fermo restante il diritto ad ogni grado di appellarsi a lui, al Concilio Generale e al Papa; di emanare sentenze in vece del Papa, su sua delega, nel suo Patriarcato; di trattare nel suo Patriarcato le questioni del clero, dei religiosi e dei laici trattati dal Papa nelle altre Chiese – fermo restando la ratifica della Santa Sede per decisioni valide anche fuori del Patriarcato e i privilegi degli Ordini esenti; di fondare monasteri maschili e femminili; di beatificare e canonizzare i Venerabili Servi di Dio; di organizzare la formazione del clero e dei fedeli; di evangelizzare i non cristiani della sua giurisdizione; di avere relazioni con le altre Chiese di diritto proprio e con quella Romana; di imporre e riscuotere imposte; di amministrare la giustizia nel foro interno ed esterno, assolvendo i peccati riservati e concedendo Indulgenze; di avere beni e amministrarli; di promuovere l’ecumenismo e il dialogo; di avere relazioni ufficiali con gli stati sui quali si estende la sua giurisdizione; di custodire il patrimonio culturale della sua Chiesa. Ai Patriarchi il Pontefice restituì il mandato a vita, senza alcuna condizione che non fosse dettata dalla loro coscienza. Stabilì che al momento della elezione del Pontefice Romano e del Patriarca, questi si scambiassero le Lettere Sinodiche come nell’antichità. Volle accreditare presso i Patriarchi i suoi rappresentanti stabili o Apocrisiari Apostolici e ricevere quelli Patriarcali, conferendo ad entrambe le categorie l’immunità diplomatica. Chiese ai Patriarchi di fondare le Censure Patriarcali, autonome da quella Romana, per la disciplina dei fedeli e del clero. Mantenne l’uso di inviare il Pallio ai Patriarchi ma li escluse dalla dignità cardinalizia, a meno che non avessero un titolo in Roma debitamente conferito.

Agli Arcivescovi Maggiori, che di fatto sparirono sotto il suo Papato, Giovanni Paolo III riconobbe gli stessi diritti dei Patriarchi, ma solo dopo che, una volta eletti, venissero confermati da lui e considerandoli come poteri delegati. Anche ad essi tolse il vincolo dell’abdicazione per ragioni anagrafiche, inviò i suoi rappresentanti stabili o Protoscriniari Apostolici e li ricevette da loro, impose di fondare le Censure Arciepiscopali Maggiori concedendo loro l’autonomia. Sia ai Patriarchi che agli Arcivescovi Maggiori il Papa ordinò di promulgare libri liturgici aggiornati e di emanare, insieme a lui, i codici canonici specifici delle loro Chiese. Agli uni e agli altri il Pontefice riconobbe il diritto di presiedere le Conferenze Episcopali dei propri paesi, in cui si radunavano tutti i Vescovi, anche di altri riti. Il Papa potenziò le Curie Patriarcali e Arciepiscopali Maggiori e confermò l’istituto del Sinodo Permanente che li coadiuvasse nel governo. A dimostrazione della considerazione in cui teneva Patriarchi e Arcivescovi Maggiori, Giovanni Paolo III istituì la Dieta dei Patriarchi e degli Arcivescovi Maggiori, da tenersi ogni cinque anni dopo il Concilio Generale della Chiesa Latina e i Concili Generali delle Chiese di diritto proprio e prima del Sinodo dei Vescovi. Il Papa assunse per sé il titolo di Primo dei Patriarchi. Aumentò altresì le competenze di raccordo dell’Assemblea Permanente dei Patriarchi delle Chiese di diritto proprio. Ai Metropoliti sui iuris confermò di essere eletti dal loro Concilio Provinciale, di ricevere da lui l’investitura e di governare le loro Chiese con tutti i poteri tradizionalmente di loro spettanza, più quelli di un Metropolita Maggiore e di un Primate, mancando loro un gerarca supremo e dipendendo in questo direttamente dal Pontefice in quanto capo della Chiesa Universale. 

Il Papa chiese ai Patriarchi, agli Arcivescovi Maggiori e ai Metropoliti di perseguire energicamente eresie ed abusi. I molti casi trattati vennero risolti quasi tutti in loco, ma 1500 vennero gestiti a Roma e 600 si chiusero con delle condanne, simili a quelle previste per i chierici, i religiosi e i laici della Chiesa Latina. Giovanni Paolo III stabilì che i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori fossero sottoposti solo alla sua giurisdizione o a quella del loro Concilio Nazionale o Generale e che tale giurisdizione fosse estesa anche al campo civile e penale, secondo il diritto canonico. Chiese e ottenne che gli uni e gli altri avessero una immunità personale simile a quella diplomatica negli stati dove vivevano. Assoggettò i Metropoliti sui iuris alla sua giurisdizione, anche civile e penale, nelle stesse forme dei loro omologhi latini.

Per quanto poi concerne le realizzazioni specifiche, il Papa  riconobbe al Patriarca copto la Presidenza dell’Unione delle Conferenze Episcopali Africane e quella della Conferenza Episcopale Egiziana; attribuì al Patriarca di Alessandria dei Melchiti la Presidenza dell’Assemblea Permanente dei Patriarchi; riconobbe al Patriarca di Antiochia dei Maroniti la Presidenza della Conferenza Episcopale Siriana e dell’Unione delle Conferenze Episcopali d’Asia Minore; attribuì al Patriarca dei Maroniti la Presidenza della Conferenza Episcopale Libanese; attribuì quella della Conferenza Episcopale Irakena al Patriarca Caldeo; conferì al Patriarca malabarese la Presidenza e a quello Malankarese la Vice Presidenza della Conferenza Episcopale Indiana e dell’Unione delle Conferenze Episcopali dell’Asia Maggiore; diede al Patriarca giudeo cristiano la Presidenza della Conferenza Episcopale della Terra Santa; stabilì la precedenza delle sedi patriarcali integrando il canone XXVIII di Calcedonia secondo l’ordine Alessandria Antiochia Gerusalemme Babilonia Malabar Malankar Cilicia Etiopia Kiev Alba Julia; stabilì che ad Alessandria la precedenza fosse nell’ordine: Patriarca Copto, Melchita, Latino; ad Antiochia: Patriarca Siriano, Maronita, Melchita, Latino; a Gerusalemme: Giudeo Cristiano, Melchita, Latino. In quanto poi al Patriarcato giudeo cristiano, che fu una sua creazione, il Papa stabilì che il Patriarca avesse un Sinodo permanente di 12 Vescovi, che le comunità ebraiche che abbracciassero la fede cattolica avessero ciascuno un Vescovo, che le province ecclesiastiche corrispondessero agli Stati in cui ci fossero un numero sufficiente di diocesi, che le regioni corrispondessero a macro aree geografiche intracontinentali e che tutte sviluppassero una evangelizzazione costante del popolo ebraico.

Il Pontefice onorò i Patriarchi, insignendo della porpora il Copto, il Melchita alessandrino, il Maronita, il Siriaco, il Caldeo, l’Armeno di Cilicia, il Giudeo Cristiano, il Malabarese, il Malankarese, l’Etiope, il Rumeno e il Ruteno, mentre scelse numerosi Vescovi orientali per incarichi di Curia.

Giovanni Paolo III considerò come Chiesa sui iuris anche la Chiesa Anglo Cattolica. Le concesse un proprio codice di diritto canonico e fece codificare la sua liturgia; trasformò gli Ordinariati Personali in autentiche diocesi e creò la Comunione Anglo Cattolica, mettendo al suo vertice l’Arcivescovo di Walsingham, Primate della Chiesa Anglo Cattolica di Gran Bretagna e della Comunione Anglo Cattolica. Eresse Primazie Anglo Cattoliche in Canada, Usa, Sudafrica, Nigeria, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. I Primati poterono a loro volta erigere diocesi, province e regioni ecclesiastiche col consenso della Santa Sede, designare Vescovi poi eletti da Roma e da essa investiti, consacrarli e quindi allargare i confini delle loro Chiese. In esse vigeva la stessa periodicità latina dei Concili di ogni ordine e grado, mentre al vertice della Comunione vi era un Concilio Generale convocato ogni cinque anni dal Primate di Walsingham. Al Primate della Comunione il Papa concesse i poteri di un Arcivescovo Maggiore, tranne quelli dell’elezione dei Vescovi. Allo scopo poi di favorire l’ingresso nella Chiesa Cattolica di altri fedeli provenienti dal Protestantesimo, fondò un Ordinariato Personale per i convertiti dalla Chiesa Evangelica Luterana per ciascuno di questi stati: Germania, Estonia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Islanda e Svizzera, riunendoli in una loro provincia presieduta dal presule tedesco col rango di Metropolita; concesse loro una liturgia mista e norme canoniche particolari. Ordinariati Personali per i Metodisti convertiti furono eretti in cinque sedi tra Usa, Australia e Nuova Zelanda, e per i Battisti, nei medesimi stati, in quattro sedi. Le une e le altre furono unite in due province rette da altrettanti presuli col rango di Metropoliti e godettero di liturgia mista e norme canoniche particolari. Con ulteriori iniziative il Papa eresse quattro Ordinariati Personali per i convertiti dalla Chiesa Presbiteriana in Olanda, Svizzera, Australia e Nuova Zelanda e altrettanti per quello dalla Chiesa Evangelica Zwingliana, dei quali tre erano in Svizzera e uno negli Usa, riunendo le une e le altre in due province con un Ordinario Metropolita. La novità dell’iniziativa fu che il Papa fondò queste Chiese avviando una evangelizzazione dei protestanti che aveva lo scopo dell’unione, nonostante le proteste delle Chiese Riformate. Dotate delle autonomie delle Province ecclesiastiche orientali, queste circoscrizioni autonome occidentali dipendevano direttamente dalla Santa Sede, che nominava i singoli Ordinari. Il Primate della Comunione Anglo Cattolica venne ammesso, come uditore, alla Dieta dei Patriarchi e degli Arcivescovi Maggiori, senza diritto di voto.

Il Papa esercitò la sua giurisdizione sulle Chiese di diritto proprio tramite la Sacra Congregazione delle Chiese di diritto proprio, divisa nella Sezione per le Chiese Orientali e in quella per le Chiese Occidentali.

Le norme sui Seminari e le Università ecclesiastiche

Con la decretale Dominus Sapientiae Giovanni Paolo III mise ordine anche nella materia della formazione ecclesiastica. Ribadì che per ogni diocesi dovesse esserci un Seminario Minore, anche se per pochi studenti. Allo stesso modo, si sforzò di creare un Seminario per ogni provincia e regione, considerati Maggiori entrambi perché in grado rispettivamente di concedere la licenza e il baccalaureato. In ogni regione volle fossero fondate Facoltà Teologiche e di Diritto Canonico, spesso unite in un Ateneo Ecclesiastico (il loro numero fu alla fine pari alla metà di quello delle regioni stesse), e in ogni stato eresse almeno una Università ecclesiastica, spesso di diritto pontificio se ubicata in una sede primaziale o cardinalizia. Ai seminaristi impose la stessa disciplina che avrebbero avuto da preti, per metterli alla prova. Il corso di studi divenne più lungo, perché scandito in dogmatica-teologia liturgica e sacramentaria – morale – teologia spirituale- teologia biblica vetero e neotestamentaria – teologia patristica e dei dottori – magistero e storia della Chiesa, branche ognuna delle quali era studiata in ciascuna delle sue partizioni. Il Papa eresse altresì la Facoltà di Scienze Religiose per i laici – non rimanendo però loro precluse quella teologica e canonistica –in ogni università pontificia periferica, facendo dipendere da esse gli Istituti Superiori di Scienze Religiose regionali e provinciali, fermo restando di fondarne anche nelle diocesi più popolose, mentre in quelle più piccole si sarebbero erette delle sezioni staccate dell’Istituto provinciale corrispondente.

Il Papa riorganizzò anche le Università romane e gli istituti di studi annessi. Aumentò le Facoltà in ciascuna di esse, portandole da quattro a sette. Elevò al rango di Università gli Atenei Regina Apostolorum e Anselmianum, portando le loro Facoltà da tre a quattro. Istituì le Università Liberiana, Paolina e Vaticana, sempre con quattro Facoltà. Eresse in Atenei le Facoltà Marianum, Teresianum, Seraphicum e Auxilium, aggiungendovi tre facoltà ciascuno. In un secondo momento eresse a Università il Marianum e il Teresianum. Subordinò i Pontifici Istituti di Archeologia Cristiana e Musica Sacra al Pontificio Consiglio per la Cultura e alla Congregazione per la Sacra Liturgia. Assoggettò il Pontificio Istituto di Studi Arabi alla Congregazione per la Dottrina della Fede e a quella per il Dialogo Interreligioso e lo promosse ad Ateneo Pontificio con tre Facoltà. Fece del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia un Ateneo Pontificio. Elevò il Pontificio Istituto Orientale al rango di Università e lo stesso fece con l’Augustinianum. Tolse ai gesuiti il monopolio del Pontificio Istituto Biblico e di quello Orientale. Potenziò gli Istituti Pontifici Liturgico, Pastorale, Monastico, di Catechesi, Tomista, di Studi Ecumenici, di Latinità, di Spiritualità, Teologico delle Benedettine e di Utriusque Iuris. Fondò gli Istituti di Grecità e di Ebraismo. Trasformò la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani in Pontificio Istituto di Medievistica, Medievalistica, Bizantinistica e Studi Francescani. Ad ogni Università Pontificia in Roma annesse un Istituto di Scienze Religiose. Una cura particolare ebbe per la Pontificia Accademia Ecclesiastica e la neo-istituita Scuola Superiore della Curia Romana, per la formazione dei diplomatici e dei funzionari della Curia.

Il Papa eresse in Roma Collegi Pontifici per gli studenti di ogni stato o nazione che avesse una popolazione di battezzati pari almeno al trenta per cento del totale. Alla fine studiarono solo in città 50000 chierici, religiosi e laici.

Attentissimo alla disciplina degli istituti di studi, Giovanni Paolo III riservò agli Ordinari la nomina dei Rettori e dei Docenti dei Seminari di ogni ordine e grado, mentre nominò lui, tramite la Sacra Congregazione per i Seminari e gli Istituti di Studi, i presidi delle facoltà teologiche e canoniche, i rettori degli atenei e i docenti su consiglio dei Metropoliti Maggiori, i cancellieri, i presidi, i rettori e i docenti delle Università Pontificie decentrate su consiglio dei Primati e degli Ordinari competenti, sempre sentiti i Senati Accademici, e naturalmente i grandi cancellieri, i presidi, i rettori e i docenti delle Università, gli Atenei, le Facoltà e gli Istituti di Studi pontifici, sentiti all’occorrenza i Senati Accademici e i Superiori Ecclesiastici, secolari e regolari, competenti. A tutti si chiese un giuramento di fedeltà alla Chiesa e al suo insegnamento. Volendo sradicare ogni eresia ed abuso, focalizzò l’azione delle Censure competenti sui vari seminari e di quella papale su tutti gli altri istituti. Sotto di lui a Roma si tennero, dinanzi alla Congregazione per i Seminari, 15000 processi, conclusisi in 5700 casi con condanne, come soppressione di cattedre, dipartimenti, facoltà, atenei, università, istituti e seminari, poi immediatamente ricostituiti con altro personale e all’occorrenza denominazione ed oggetto di studi, nonché, per i docenti sospensioni, trasferimenti, licenziamenti, annullamento di titoli accademici, censure di pubblicazioni e, per gli studenti, espulsioni e sospensioni, oltre alle sanzioni tipiche per religiosi, chierici e laici. Tuttavia il numero delle cattedre fondate, dei docenti assunti e degli studenti formati fu di gran lunga superiore di quello degli esclusi.

E’ infine degno di nota che il Papa aiutò le Chiese Orientali cattoliche a darsi tutte le proprie Università, Atenei e Facoltà in loco, oltre ai seminari maggiori e minori.

Il nuovo codice di diritto canonico e l’amministrazione della giustizia

Giovanni Paolo III promulgò un nuovo codice di diritto canonico, più vicino al modello pio benedettino. Esso comprendeva, oltre al codice vero e proprio in dodici libri, anche un digesto che lo commentava, le novelle di Giovanni Paolo III e un corpo giuridico composto dalle leggi vigenti nelle Chiese di rito latino inculturato e dai codici delle Chiese dei convertiti dall’islam e dal buddhismo, le cosiddette Chiese ismaelita e monastica d’Oriente. Comprendeva altresì in appendice il codice giovanpaolino e quello pio benedettino che rimanevano in vigore nelle Chiese unitesi a Roma prima dell’entrata in vigore del nuovo codice e che non volevano modificare le norme della loro unione canonica.

Il Papa volle che ognuna delle Chiese di diritto proprio avesse un proprio codice. Abolito il codice delle Chiese Orientali, entrarono in vigore nel seguente ordine quello greco melchita, il greco cattolico, il siriano, il maronita, il caldeo, il copto, il malankarese, l’armeno, il malabarese, l’etiope e il neonato giudeo cristiano. Seguì il codice anglo cattolico e il corpo di diritto canonico degli altri Ordinariati personali, detto così perché metteva insieme quattro tradizioni legislative protestanti diversi. I codici delle Chiese Orientali di diritto proprio furono promulgati insieme dalla Santa Sede e dai Patriarchi di ciascuna di esse.

Per volontà del Pontefice, una nuova monumentale raccolta di tutte le fonti di diritto canonico occidentale ed orientale fu edita dalla Libreria Editrice Vaticana, in circa 350 volumi.

Il Papa riservò alla Sacra Congregazione per i Sacri Canoni, da lui presieduta, la formulazione delle nuove eventuali leggi – al netto della sua ricca produzione in decretali – l’interpretazione autentica di esse in tutta la Chiesa e la punizione degli abusi canonici. Nel corso del suo Papato a Roma furono istruite 50000 cause e 25000 si chiusero con le condanne, intese come scomunica, interdetto, sospensione, privazione dei sacramenti, deposizione, secolarizzazione, degradazione, trasferimento, interdetto.

Il Papa, a fronte della sovrapproduzione di canoni a causa della collegialità, ordinò che ogni anno la Congregazione pubblicasse un decreto che ne confermasse la vigenza, dividendoli in canoni dei Concili provinciali, regionali, nazionali e generali.

Come si è visto, Giovanni Paolo III aumentò le competenze dei tribunali diocesani, provinciali e regionali, mentre creò quelle dei tribunali primaziali; aumentò anche quelle dei tribunali patriarcali e arciepiscopali maggiori, pur avendo inserito tra essi e quelli eparchiali i tribunali provinciali e regionali. Tuttavia questo non avvenne a discapito della giustizia amministrata dalla Santa Sede. In tale campo, riaffermò la centralità del Supremo Tribunale della Santa Segnatura Apostolica, riservandone la Prefettura al Segretario della Congregazione dei Sacri Canoni e restaurando la sezione della Segnatura di Grazia accanto a quella di Giustizia. Il Papa stesso, assistito dal Prefetto Apostolico della Segnatura, in qualità di Uditore di Sua Santità, celebrò diversi processi, specie a Cardinali e Vescovi, e pronunziò 350 sentenze, raccolte in un apposito volume e destinate, come quelle della Segnatura e degli altri tribunali papali, a fare giurisprudenza per tutta la Chiesa. In quanto al Tribunale della Sacra Rota Romana, venne potenziato nel suo organico e il Papa introdusse criteri più severi per la selezione degli Avvocati Rotali, mentre ordinò di bandire dalle sentenze di nullità matrimoniale le motivazioni psicologiche non patologiche, arrivando addirittura a far rivedere alcune centinaia di casi di annullamento che apparvero ai suoi occhi come viziate di abusi. Nel foro interno, il Papa confermò le competenze esclusive dei Vescovi, degli Eparchi, dei Patriarchi, degli Arcivescovi Maggiori, degli Ordinari Personali Primati e sue proprie, attraverso il Tribunale della Santa Penitenzieria Apostolica.

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