L’apostolato della cultura in Gaetano De Sanctis, storico dell’antichità

di Luigi Finocchietti                                                                                                                        

La forza della Provvidenza

Gaetano De Sanctis (1870-1957) è stato uno tra i più grandi storici del mondo antico che l’Italia abbia conosciuto. Nato a Roma alcune settimane dopo la presa di Porta Pia, quindi già italiano, fu chiamato Gaetano in onore del Santo della Provvidenza. Questa scelta fu dovuta alla circostanza per cui il padre, capitano della gendarmeria papalina, rifiutò la ricollocazione nel novello stato italiano (così come anche fece il nonno, funzionario dell’amministrazione pontificia), e quindi la nascita di questo bambino capitava in un periodo di grandi incertezze sul futuro della famiglia e di timore fondato di cadere nella miseria (cosa che poi non avvenne per gli interventi di pensionamento del governo italiano e di sussidio economico del Papa Pio IX in favore di chi aveva rifiutato di servire il nuovo Stato).

Questa italianità, peraltro, fu vissuta sempre dal De Sanctis con una forte convinzione, anche in relazione alla dignità di Roma capitale d’Italia, nonostante i forti contrasti che scatenò con la famiglia d’origine, con la quale però mantenne sempre vivo l’affetto e il rispetto reciproco.

Su Gaetano De Sanctis e sull’importanza del suo impegno come studioso, del suo attivismo politico di primo piano nel nascente partito popolare, e del suo ruolo nella cultura italiana del XX secolo è stato già scritto molto (più recentemente anche attraverso la pubblicazione di parte del suo vasto epistolario), ma più di tutti parlano i suoi scritti storici e l’insieme dei suoi insegnamenti che hanno in qualche modo condizionato tutti i principali protagonisti degli studi di antichistica in Europa durante tutto il XX secolo e oltre.

Voglio però qui soffermarmi su un aspetto particolare del suo essere studioso, e cioè il suo confrontarsi costantemente con la sua fede nel Cristo della storia, vissuta come via luminosa verso la Verità. Questo suo continuo sforzo di armonizzare con la propria fede i risultati degli studi storici e scientifici lo distanziò dal positivismo del suo maestro (il grande storico Karl Julius Beloch, del quale fu allievo prediletto) e dal razionalismo imperante nell’accademia, ma senza mai perdere di vista il rigore del metodo critico e la ricerca del vero.

Per il Nostro infatti la storia era insieme oggettiva nella parte iniziale dominata dalla tecnica dell’indagine, e soggettiva nel processo ricostruttivo nel quale entrano in gioco inevitabilmente il mondo interiore dello storico, con il suo universo di valori, e l’interazione con la realtà circostante; ma il carattere soggettivo di parte della ricerca storica però non significa affatto che deve risultare in qualche modo arbitraria.

Nel 1907, concludendo il secondo volume della sua Storia dei Romani, avendo esaminato l’evoluzione di questo popolo dal livello di sviluppo dell’eneolitico fino al grado di civiltà raggiunto nel pieno dell’età repubblicana, scriveva:

E però tanto più vi appare manifesta la efficacia di quella forza che sospinge costantemente l’umanità da una forma di vita ad un’altra in cui più penetra e risplende l’idea del bene, senza che l’una forma sia pienamente determinata dalla precedente, non potendo il più perfetto avere nel meno perfetto un’adeguata spiegazione; di quella forza che lo scienziato cristiano designa col nome di Provvidenza

Di quella forza che lo scienziato cristiano designa col nome di Provvidenza” dunque, della quale lo studioso portava il segno finanche nel suo stesso nome e che coraggiosamente individuava nelle pieghe della Storia, ma che riconosceva sinceramente anche come portatrice di speranza nella sua non facile vita, così come in quella di tutti gli uomini ”buoni e valenti”.

Così scrisse, molti anni dopo, in una lettera del 14 settembre 1938 indirizzata al suo allievo Arnaldo Momigliano in procinto di partire verso l’Inghilterra in seguito alla promulgazione delle leggi razziali:

Ho scritto a vari amici carissimi, ma a Te, che mi sei tra tutti uno  dei più cari, che cosa potrei scrivere se non parole che in questo momento non gioverebbero ad altro che ad amareggiarci entrambi? D’altronde Tu ben sai senza che io stia a ripetertelo il giudizio che io faccio sul valore della Tua opera di studioso e di  maestro e sulla speranza che essa ha suscitato in me fin da quando prima Ti conobbi, sul contributo prezioso che Tu avresti recato al  progresso delle scienze storiche e sull’onore che ne avresti ritratto meritamente Tu stesso e, per riflesso, un poco anche io che Ti sono stato maestro. Ora io Ti dico solo coraggio e speranza. La prònoia (in greco antico nell’originale, Ndr) alla quale io credo fermamente e la cui fede mi sorregge nelle ore difficili non abbandona buoni e valenti. Un solo consiglio posso dare, quello di serbarTi calmo e di  evitare risoluzioni precipitose.

È possibile trarre insegnamento oggi da queste parole? Intendo dire è possibile per uno studioso che viva la sua fede pubblicamente trarre ispirazione da questo atteggiamento nello sviluppo del suo percorso intellettuale, in un periodo storico come quello contemporaneo?

L’apostolato della cultura

Durante gli anni trascorsi da studente all’Università di Roma, insieme ad altri colleghi il giovane De Sanctis costituì uno dei primi circoli cattolici universitari italiani, il “Circolo S. Sebastiano”, per discutere problemi culturali dal punto di vista cristiano; impresa non facile peraltro, dato il pesante clima anticlericale e razionalistico che imperversava nell’ateneo romano nei decenni successivi alla caduta del potere temporale della Chiesa.

Ma questa missione di apostolato della cultura non fu per lui a dire il vero mai facile.

Successivamente, negli anni del suo insegnamento all’Università di Torino (dal 1900 al 1929), oltre all’impegno politico si trovò a fondare nel 1921-1922 l’Associazione Cattolica di Cultura, nel cui programma di pensiero era presente un’esortazione ai giovani a non cedere a:

quella specie di disintegrazione che è tanto dannosa alla sincerità e coerenza della vita e alla efficacia dell’azione; per cui l’artista e lo scienziato o anche l’uomo d’azione saranno bensì talora cattolici, ma la loro opera d’artisti e di scienziati o di politici sarà, non distinta solo, ma separata affatto dalla vita religiosa, come se fosse in realtà possibile o lecito spezzettare lo spirito umano e come se tutta l’opera teoretica o pratica d’un cattolico non dovesse sempre illuminarsi dalla luce che pervade il suo spirito….

In merito alla possibilità dell’esistenza di una cultura cattolica, quindi, la risposta del De Sanctis era senz’altro positiva, in considerazione anche della sua ferma convinzione che gli elementi essenziali della cultura greco-romana, nei quali il De Sanctis individuava valori universali, siano stati abbondantemente assimilati e sviluppati dal cristianesimo; anche in merito al delicato e annoso problema del rapporto tra scienza e fede, il Nostro ha più volte evidenziato come lo scienziato cristiano proceda sempre nelle sue ricerche con argomenti pienamente razionali.

Grazie a queste intuizioni e a un lavoro duro e creativo di studio e di discernimento riuscì a superare le posizioni positivistiche della sua formazione giovanile e le influenze filosofiche dell’idealismo.

leggi anche: Il futuro della persona nel pensiero cristiano…

Ancora nell’intento di promuovere l’Associazione Cattolica di Cultura, scriveva:

Bisogna risalire alle fonti più pure dell’idea cristiana e alle pagine dei suoi assertori; mettendo a continuo riscontro le dottrine di essi coi problemi che sorgono dalle esigenze nuove degli spiriti e dal mutare continuo delle condizioni di vita sociale. E tuttavia nonostante l’opera di….valentuomini cultori della scienza e propugnatori del pensiero cristiano…..l’azione cattolica nel campo culturale è in Italia per molti aspetti manchevole e non abbastanza feconda; il posto che ha la cultura cattolica nella vita spirituale della nazione non è quello che le compete e che noi vorremmo.

L’attività dell’Associazione Cattolica di Cultura andò man mano declinando parallelamente all’ascesa del fascismo, lo stesso regime che inferse uno dei più duri colpi alla vita personale e accademica di Gaetano De Sanctis.

Dal 1929 infatti fu chiamato all’Università di Roma a ricoprire la cattedra di storia greca dopo la morte del suo maestro Beloch. Nel 1931 però fu costretto ad abbandonarla in seguito al rifiuto di prestare giuramento di fedeltà al regime fascista. Fu l’inizio di un periodo molto duro e nel quale tra l’altro divenne anche progressivamente cieco a causa di un glaucoma. La situazione personale ed economica sarebbe stata ancora più drammatica senza il provvidenziale aiuto di papa Pio XII che, avvertito delle sue condizioni, provvide ad assegnarli un sussidio mensile con l’invito a svolgere lezioni presso il Pontificio Istituto di Archeologia cristiana; questa e altre circostanze gli permisero di non fermare la sua attività editoriale e di studio, quanto mai prolifica negli anni a seguire.

Dopo la caduta del fascismo, in seguito alla restituzione a vita della sua cattedra presso l’Università di Roma, riprese a pieno ritmo (nonostante l’età avanzata e i gravi problemi di salute) anche la sua instancabile opera di apostolato della cultura. In quegli anni infatti fu tra le altre cose eletto Presidente del Comitato Cattolico Docenti Universitari e, come testimoniato da sui illustri allievi e collaboratori, si tennero presso la biblioteca di casa sua memorabili conversazioni su San Paolo alla presenza di studiosi caratterizzati dalle più diverse tendenze.

In questa stessa biblioteca infine, nella primavera del 1957, vi fu l’ultimo incontro tra Gaetano De Sanctis e alcuni tra i suoi amici, colleghi e allievi. Ormai vedovo dell’amata moglie Emilia e molto sofferente, immobile su un modesto lettino di ferro riuscì a congedarsi con parole di cristiana speranza riferite al prossimo augurato inizio della sua vera vita.

Webliografia

L. Polverini, Momigliano e De Sanctis, in L. Polverini (a cura di), Arnaldo Momigliano nella storiografia del novecento, Roma, 2006, pp. 11-35.

A. Russi, Silvio Accame, in Gervasiana. Collana di studi e testi diretta da Angelo Russi. 8. Gerni Editori, San Severo, 2006.

A. Russi, «Cercando la verità, la libertà e la giustizia … ». Gaetano De Sanctis e i suoi rifiuti, I. Il rifiuto del giuramento al Regime fascista (1931) e l’antica amicizia con l’allora Ministro dell’Educazione Nazionale Balbino Giuliano, in Archaeologiae. Research by Foreign Missions in Italy, V, 1-2, 2007, pp. 43-175.

Bibliografia

S. Accame, Gaetano De Sanctis, in Studium, LIII, 4, Aprile 1957, pp. 227 [= Silvio Accame, Attualità dell’antico. Lezioni di metodo storico, a cura di A. Russi, I, 2003, pp. 149-158].

G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, a cura di S. Accame, 1970.

S. Accame, Gaetano De Sanctis. L’impegno scientifico di un credente, in Studium, LXXIII, 4, Luglio-Agosto, 1977, pp. 433-446 [= Silvio Accame, Attualità dell’antico. Lezioni di metodo storico, a cura di A. Russi, I, 2003, pp. 243-256].

S. Accame, Gaetano De Sanctis. L’apostolato della cultura, in AAVV., Laici del nostro tempo, a cura di C. Ghidelli e G. Lazzaro, s.d. (1987), pp. 23-36.

S. Accame, Il diario segreto (1917-1933) di Gaetano De Sanctis, in Silvio Accame, Attualità dell’antico. Lezioni di metodo storico, a cura di A. Russi, I, 2003, pp.303-314.

(Immagine: pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4677342)

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