Il Gesù storico di Vito Sibilio

di Luigi Finocchietti                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

Ci sono questioni sulle quali sarebbe cosa buona e giusta essere ormai tutti d’accordo, credenti e non credenti. Una di queste riguarda senz’altro la veridicità storica dell’esistenza di Gesù Cristo, e della testimonianza dei quattro Vangeli canonici. Eppure, non sempre è facile dare per scontato l’attendibilità storica di racconti riguardanti un personaggio che ha cambiato con la sua vita e i suoi gesti (spesso inspiegabili razionalmente) in maniera così radicale la storia dell’umanità intera. 

Un libro come quello scritto da Vito Sibilio, Sulle tracce di Gesù storico, che ha la sua premessa in una serie di saggi dello stesso autore riguardanti queste tematiche comparsi negli ultimi anni in riviste specializzate (poi sviluppati e confluiti in un unico testo in occasione della pubblicazione della monografia in formato digitale avvenuta nel 2015), può senz’altro aiutare a fare chiarezza su tutte le problematiche connesse a questo argomento.

I temi trattati in questa ricerca infatti risultano essere vasti, così come la bibliografia e la letteratura specialistica citata e analizzata criticamente (storica, filologica, teologica, di archeologia biblica, ecc…), ma quello a cui si fa costantemente riferimento si può riassumere in alcune precise domande che a mio avviso sono del più grande interesse per un pubblico molto più vasto di quello formato dai soli specialisti delle discipline storiche.

Quando e come furono scritti i Vangeli? 

La prima parte della monografia presenta un resoconto critico e appassionato sulle problematiche connesse alle datazioni dei quattro vangeli canonici, sui luoghi in cui vennero scritti e sul profilo storico dei protagonisti, ovvero Matteo l’apostolo, Marco il discepolo di Pietro, Luca il testimone del vangelo predicato da Paolo ai pagani e, a conclusione di tutto, l’apostolo Giovanni.

Oggi le datazioni papiracee e filologiche in genere dei testi più antichi dei Vangeli canonici mostrano che non ci fu praticamente soluzione di continuità tra la Vita di Cristo e la sua narrazione scritta.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 6)

 L’apporto scientifico maggiore di questa sezione del testo, come sembra a me di capire pur non essendo io uno specialista di questo tipo di studi, consiste nel tentativo di definire meglio storicamente tutti gli elementi utili a una datazione alta dei racconti evangelici, per i quali si ipotizza di essere una diramazione e uno sviluppo di scritti probabilmente redatti in tempo reale già durante la predicazione di Gesù. Questo tipo di operazione infatti era sviluppata da parte di tachygraphoi, stenografi, che molto verosimilmente mettevano in campo pratiche simili a quelle documentate nella tradizione vetero-testamentaria e a quelle che erano abituali presso le scuole rabbiniche.

Una tradizione orale comune, che i tre sinottici hanno messo per iscritto in modo indipendente e quindi vario, in sé è sicura, ma da sola non spiega tante affinità. Certo, essa esistette a lungo, e fu divulgata da apostoli e predicatori professionisti (evangelisti). Presumibilmente, già quando Gesù era vivo si cominciarono a stenografare i suoi discorsi, anche se prove non ce ne sono. Una stesura scritta di queste memorie dev’essere tuttavia iniziata immediatamente: riunite per nuclei tematici e cronologici, erano integrate dalle testimonianze orali. Possiamo dire che queste testimonianze diedero una struttura standard anche alla predicazione dei fatti e dei detti di Gesù, contemporaneamente a quanto accadeva per il kerygma, ossia per la Passione e Morte e Resurrezione (…).

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 62)

Questa datazione al rialzo di tutti i vangeli è sostenuta dall’autore in compagnia con una parte della comunità degli studiosi e con chiara padronanza metodologica nel vagliare e confrontare le fonti documentarie, papirologiche e letterarie, al fine di proporre datazioni storicamente attendibili. Si deve anche aggiungere come la critica abbia notato che in nessuno dei testi del Nuovo Testamento vi è un riferimento alla distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. come fatto compiuto. 

(…) a dispetto dell’opinione dominante degli esegeti e dei biblisti, il Vangelo di Matteo non solo è il primo, ma anche anteriore al 50, a cui risalgono i primi codici del Vangelo di Marco. Su questa priorità, sia della versione aramaica su quella greca, che di Matteo su Marco, a mio parere incontestabile, sono convergenti molti studiosi (…)Esse [le ragioni, ndr] datano inconfutabilmente il Vangelo di Matteo entro i primi dieci anni dopo la Morte e la Resurrezione di Gesù, ossia non oltre il 42. Indipendentemente dalle testimonianze patristiche e dalle datazioni papiracee.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 22)

(…) Evidentemente i dati storici e letterari tradizionali, scevri dai pregiudizi delle scuole idealista, marxista e positivista, già dal 1913 potevano confermare e precisare la datazione tradizionale dei Vangeli. 

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 32)

Quali sono le testimonianze archeologiche a riscontro delle narrazioni evangeliche?

 La Parte Seconda offre al lettore un’ampia panoramica dei riscontri archeologici e architettonici alle narrazioni evangeliche così come sviluppati nella più recente e meno recente letteratura di settore.

Lungi da me quindi ripercorrere una disamina già abbondantemente trattata e con cognizione topografica da parte dell’autore, relativa ai luoghi della vita di Maria, di Giuseppe, di Giovanni Battista, di Gesù stesso e dei suoi viaggi, delle origini di Pietro e degli apostoli, dei luoghi della Passione e Resurrezione fino all’Ascensione di Cristo e alla Dormizione di Maria.

Una costante però si può cogliere in molti di questi luoghi densi di significato, ovvero i ritrovamenti di resti archeologici di abitazioni o strutture databili al I secolo, al di sopra delle quali furono impiantate già in età antica domus ecclesiae oppure sinagoghe delle comunità giudeo-cristiane, oltre che spesso importanti basiliche a partire dall’età costantiniana.

Uno degli argomenti che, a una prima lettura, hanno attirato maggiormente la mia attenzione nell’ambito di questo ampio quadro di geografia storica, che si basa anche sull’attendibilità di alcune descrizioni provenienti dai testi detti apocrifi, consiste nell’importanza che assunse il quartiere degli Esseni a Gerusalemme per il nascente Cristianesimo.

Nella ricostruzione proposta la famiglia della Vergine Maria risulta essere originaria di un quartiere della vecchia Gerusalemme nel quale sorgeva la famosa piscina a cinque portici di Bet Esdatain (o Bethsaida), altrimenti nota per il miracolo del paralitico, per la quale disponiamo di una ricca documentazione archeologica che ne attesta una frequentazione pluristratificata da luogo di guarigione ebraico legato a Salomone, a sito legato al culto dell’arcangelo Gabriele, fino alla trasformazione da parte dei parenti stessi della Madonna in un luogo sacro connesso all’azione guaritrice di Gesù medico.

In questo quartiere quindi probabilmente nacque Maria, prima di trasferirsi nel piccolo villaggio di Nazareth in Galilea, abitato esclusivamente da discendenti della stirpe di Davide.

I testi ci dicono che Maria è nata a Betlemme, a Nazareth e a Gerusalemme. Ovviamente solo una di queste località è quella giusta. (…) la tradizione gerosolimitana del Protovangelo di Giacomo del II sec. appare più solida, nonché suffragata dai ricordi dei primi pellegrini. E’ infatti nella capitale che si è conservato il ricordo monumentale della Nascita della Vergine.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 65)

Giovanni Damasceno è il primo a parlare nel VII sec. chiaramente della Casa dove nacque Maria presso la Piscina di Bethesda. Ma già Teodosio aveva, nel 530, fatto riferimento ad una chiesa dedicata alla Vergine in quel luogo. In età crociata le due vasche della Piscina furono riempite e la Chiesa di Santa Maria trasformata in monastero, mentre venne edificata un po’ più a est la Chiesa crociata di Sant’Anna, che come dicevamo conserva sotto di sé la Casa della Vergine.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, pp. 66-67).

Nei pressi della piscina quindi si sviluppava il quartiere esseno della capitale teatro, oltre che probabilmente delle prime vicende biografiche di Maria, di alcuni degli avvenimenti fondamentali della storia del cristianesimo. Qui infatti sorgeva la locanda essena che Gesù stesso scelse come luogo privilegiato per lo svolgimento dell’ultima cena, nel quale apparve successivamente alla Resurrezione, e in cui discese lo Spirito Santo sui dodici apostoli il giorno di Pentecoste.

Per comprendere l’origine del luogo sacro [il Cenacolo, n.d.r.], bisogna contestualizzarlo nella storia archeologica del quartiere in cui si trovava ai tempi di Gesù. Esso era senz’altro un quartiere esseno. La sua esistenza è attestata da Filone di Alessandria, da Giuseppe Flavio e dal Documento di Damasco. Infatti dal 37 al 4 a.C. gli abitanti di Qumran – distrutta nel 31 a.C. da un terremoto e da un incendio – si trasferirono  in Gerusalemme, benevolmente accolti da Erode (…). Nel 4 a.C. gli Esseni ritornarono a Qumran ma non smantellarono il Quartiere nella capitale, che il Rotolo della Guerra chiama “Comunità di Gerusalemme”(….) Nei pressi del quartiere vi erano inoltre un bagno rituale e una latrina, il cosiddetto bethsō, costruiti per soddisfare le specifiche esigenze degli Esseni

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, pp. 92-93).

La passione e la morte di Cristo come vicende storiche. E la Resurrezione?

Dopo una terza parte dedicata a riflessioni sull’attendibilità storica degli autori del Nuovo Testamento, soprattutto in riferimento alla loro opera evangelizzatrice e alle testimonianze sul loro martirio, nella quarta parte e nella quinta (nonché ultima) parte dell’opera sono affrontate le tematiche centrali della passione, morte e Resurrezione di Cristo.

Gli autori neotestamentari sono persone concrete, sono per lo più quelli che noi conosciamo. E possono essere valutati nella loro credibilità; anzi devono essere vagliati in tal senso, data la natura straordinaria di quanto narrano. Per quanto concerne l’ipercritica relativa alle notizie sul martirio della maggior parte degli autori in questione, penso possa essere agevolmente accantonata alla luce di quelle metodologie più recenti atte ad enucleare la verità storica soggiacente anche a fonti leggendarie o relativamente tardive, tenendo anche conto del fatto che in molti casi noi abbiamo notizie su vari personaggi storici solo attraverso fonti relativamente tardive.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 113).

 L’autore istituisce un confronto serrato, condotto versetto per versetto, tra i racconti dei vangeli canonici relativi alla Passione e morte di Gesù, sottoponendoli (ancora una volta) al vaglio dell’analisi storica.

Questa operazione è ripetuta anche per i racconti relativi alla Resurrezione. Come è possibile?

Un evento come la Resurrezione è un unicum, anche nella mera mitologia religiosa. Di per sé non può essere creduto storicamente. Bisogna dunque vedere se esistono altre spiegazioni allo sconcertante destino postumo del Corpo del Cristo morto. Se non ve ne sono, la Resurrezione diviene storicamente credibile, non di per sé, ma per esclusione di ogni altra alternativa logica.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 241).

L’autore riprende una riflessione che ha interessato autorevoli protagonisti nel corso dei secoli e riguardante un’eventuale leggenda sulla Resurrezione di Cristo, ovvero l’ipotesi che non sia veramente risorto, attraverso due possibili ipotesi analizzate dal punto di vista razionale e storico.

La prima consiste in un falso messo in atto consapevolmente da parte dei dodici apostoli, autori di un ben congegnato furto del corpo del Maestro.

Anzitutto, come potevano le guardie addormentate accorgersi del furto? E se si svegliarono, perché non lo impedirono? E’ un rilievo elementare che fu fatto già da Agostino di Ippona, illustre e acuto convertito.

(…) Qualcuno poteva obiettare che gli Apostoli potevano avere qualcosa da guadagnare nell’asportazione del cadavere. Ma i fatti lo smentiscono: non solo avevano precipitosamente abbandonato il Maestro al momento della cattura, ma il primo giorno utile per viaggiare – finito il sabato – il gruppo aveva cominciato a sfilacciarsi: erano partiti i Due di Emmaus, si era allontanato Pietro, si era separato dagli altri Tommaso. Gli altri Apostoli erano rintanati in casa per paura dei giudei. Non è lo stato d’animo in cui si cerca di cogliere dei vantaggi. Del resto, i fatti dimostrano che non ce ne furono: la gestione comunitaria dei beni dei cristiani primitivi tolse ai XII la possibilità di lucro e le persecuzioni immediatamente iniziate e drammaticamente culminate con la morte violenta di tutti loro smentiscono che il furto del corpo di Cristo abbia potuto aprire loro prospettive di potere o gloria. E non avrebbero potuto aspettarsi altro, data la fine del Maestro. Un furto non è dunque una ipotesi plausibile.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, pp. 252-253).

La seconda in uno stato patologico della psiche di cui gli stessi e tutta la prima comunità cristiana avrebbero sofferto.

Lo stato psicopatologico è forse allo stato attuale l’unica ipotesi credibile, perché impostabile in modo scientifico, che spieghi in modo naturale le esperienze parapsicologiche connesse alla nascita della fede nella Resurrezione. Ma non spiegherebbe l’assenza del corpo, che sarebbe ancor più enigmatica. A meno che non si supponesse che il furto di esso fosse stato compiuto in uno stato di tale esaltazione da essere pressoché inconsapevole, quasi atto di personalità dissociate o borderliner. (…) Ma che possiamo dire dello stato mentale dei discepoli e degli Apostoli? Forse è opportuno capire se potessero autosuggestionarsi fino a tal punto. E bisogna cominciare dall’inconscio più profondo, quello archetipico e collettivo, che ci portiamo tutti dentro. Mi porrei alcune domande, e le riporto.

Come mai un messia fallito suscita nei suoi discepoli questa esaltazione irrazionale?

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 253).

Nonostante la veste teologica dei racconti evangelici quindi, e soprattutto del racconto della Resurrezione, e l’assenza di una volontà di composizione di un’opera storiografica, essi rimangono intrisi di una sostanza che era e rimane storica, anche all’occhio più critico.

In verità, di nessun capo o fondatore religioso, e di nessun uomo mai nessun ha avuto la faccia tosta di dire che fosse risorto. Né di mettere in imbarazzo i posteri con prove a favore di questa folle asserzione. Non sembra che nessun uomo, in seimila anni di civiltà, abbia mai sostenuto di aver visto risorgere un suo simile. Ad eccezione di una ventina di testimoni ebrei di Palestina per il loro presunto Messia, duemila anni fa circa (e limitiamo la cifra ai soli veggenti del periodo pasquale). Sarebbe un fatto, anche se psicopatologico, unico. E fa riflettere.

… E’ talmente banale quello che fecero i XII con il loro Apparso, da poter essere solo vita quotidiana, vissuta, sbiadita. Cioè vera. Storica.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, pp. 254; 256).

Bisogna almeno in linea di principio accettare che alla storia umana possa essere connessa una metafisica, le cui ipotetiche manifestazioni nel tempo possano essere storiche anch’esse, e quindi accertabili.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, p. 267).

Una persona credente può essere uno storico attendibile?

Una persona che professa pubblicamente la propria fede cristiana può essere attendibile nel redigere uno studio sulla figura storica di Gesù? Per rispondere a questa domanda, senza scomodare tutti gli studiosi nell’ambito della sterminata storia degli studi (riassunta da Vito Sibilio nel suo libro) che hanno provato a spiegare con le armi affilate dell’ideologia come questo non sia possibile, bisogna partire da lontano, e arrivare all’origine della storiografia come disciplina del sapere.

Sul finire dell’età arcaica, a cavallo tra il VI e il V secolo, Ecateo di Mileto, nato e cresciuto in un ambiente saturo di cultura, espone con estrema chiarezza i fondamenti razionali della sua indagine asserendo che scriveva le cose come a lui sembravano vere, poiché i discorsi dei Greci sono molti e, come gli si presentavano, risibili. A ragione egli è considerato il fondatore della critica storica in quanto con lui per la prima volta la tradizione viene apertamente e consapevolmente combattuta nella sua pretesa di essere storica e si affermava il principio che ogni tradizione va saggiata al confronto con altre tradizioni.

(S. Accame, Il sorgere della critica, 1990, pp. 88-89)

Quindi l’essere o meno un buono storico non presuppone nessun distacco da una dimensione di fede e dal professare una religione, ma molto più opportunamente richiede l’adesione ad alcuni principi teorici e metodologici che, nati nell’ambito della cultura greca antica e poi diffusi nel bacino del Mediterraneo, hanno trovato spazio e differenti articolazioni nella discussione epistemologica di età moderna, a partire soprattutto dal XIX secolo. E questo discorso vale anche per le vicende relative alla vita e alla morte di Gesù Cristo, e alla sua Resurrezione.

Tuttavia lo storico non deve sottrarsi alla disamina accurata delle circostanze fondamentali in cui si determina la credibilità o meno della Divinità del Cristo, ossia quelle della sua pretesa Resurrezione dai morti.

(…)Paradossalmente, i maggiori contributi per la conoscenza del Gesù storico vengono da ambienti non cristiani e senza alcun intento apologetico, mentre gli studiosi cristiani spesso rimangono legati ad un approccio demitizzante e ipercritico alla figura di Gesù, che oggi non ha più ragion d’essere.

(V. Sibilio, “Sulle tracce del Gesù storico”, Introduzione)

Si deve pertanto ammettere (…) che la temperie storica in cui furono redatti i Vangeli (…) è caratterizzata da una netta distinzione tra il «vero fantastico» o «mitologico», e il «vero storico», inteso questo secondo la tradizione della storiografia scientifica, come un fatto non inventato, ma realmente accaduto, un discorso realmente pronunciato.

(…) Pur animanti dallo spirito critico (…) questi scrittori non miravano a fare storia (…). È sostanzialmente una letteratura religiosa, nel senso che tende a conservare il ricordo della vita di Gesù e a diffonderne il messaggio (…). E tuttavia proprio per l’asserito ricorso a testimoni oculari, all’autopsia, che d’ogni storia è il fondamento, una siffatta letteratura si basa su avvenimenti e detti inequivocabilmente storici.

(S. Accame, Della storicità dei Vangeli, 1993, pp. 130-131)

 

 

Leggi anche: 

L’apostolato della cultura in Gaetano De Sanctis, storico dell’antichità

(Immagine: Gerusalemme, Cenacolo. Marco Plassio, Wikimedia Commons)

 

Webliografia

V. Sibilio, Sulle tracce del Gesù storico, edizione digitale, 2015.

Recensione del teologo Simone Venturini

Bibliografia

S. Accame, Il sorgere della critica, in Attualità dell’antica. Lezioni di metodo storico, I (a cura di A. Russi), Roma, 2003, pp. 81-93 [prima pubblicazione in La lettera e lo spirito. Miscellanea di studi per il cinquantennio del Magistero Maria SS. Assunta (1939-1989), Roma, 1990, pp. 9-25].

S. Accame, Della storicità dei Vangeli, in Attualità dell’antica. Lezioni di metodo storico, I (a cura di A. Russi), Roma, 2003, pp. 125-139 [prima pubblicazione in Studium, 89, 2, Marzo-aprile 1993, pp. 243-258].

 

 

 

 

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