La chiamata

di Luigi Finocchietti                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 L’aria umida del primo mattino di gennaio porta sempre con sé l’odore di un divertimento forzato, stanco delle mille luci della notte, immerso nel nettare delle delusioni, gravido di colorate speranze.

Il nuovo inizio è pigro, e l’atmosfera tersa delle stanze accompagna il mio girovagare inquieto dentro casa. Un lampo luminoso proveniente dal cellulare attira la mia attenzione. Mi avvicino e riconosco sullo schermo il mio stesso numero. L’impressione di uno squillo ricevuto mi ha tratto in inganno…forse un errore del programma, mi viene da pensare. Nei minuti successivi l’inconveniente si ripete, interrompendo a intervalli regolari il duro lavoro nell’orto della mia fantasia. Un richiamo intermittente mi avvolge, e spedisce ai margini dell’attenzione tutti i progetti che sorgono come erba spontanea nel terreno della volontà. Provo a spegnere e riaccendere l’apparecchio, pensando alle più varie e inaudite complicazioni psicologiche.

Dopo una breve pausa di silenzio l’ennesimo squillo, e poi ancora un secondo, un terzo, un quarto. Mi accorgo che questa volta vi è l’assurda volontà di stabilire un contatto, attraverso una videochiamata, e oltre al numero adesso compare anche il mio nome. Ma come sarà mai possibile? Questi attimi sembrano infiniti. Rispondo con il fiato sospeso, e al colmo della confusione mi ritrovo a dover parlare con l’immagine di me stesso animata da movenze e forse anche pensieri incredibilmente estranei.

  • Benvenuto negli anni Venti.

***

  • Chi sei?
  • Sono la tua coscienza critica.

Mi risulta difficile stare al gioco, ma prendo coraggio, non rimane altra scelta che ascoltare cosa ho da dirmi.

  • In quel tuo volto si respira lo stupore, che è poi anche il mio, e una grande indecisione riguardo a quali sogni lasciare fiorire lungo il sentiero.
  • Coscienza critica, tu dici…ma sei proprio sicura di volere indagare sulle mie indecisioni?
  • Sopraggiunge un’epoca nuova, il secolo è ormai entrato nel vivo, e so per certo che sei disposto finalmente a lasciare libero il tuo talento, libero di provare, libero di sbagliare.
  • Ma il talento non è un dono necessario.
  • Sai bene che ognuno ha un talento da spendere, e il mio compito consiste nel ricordartelo. Considera queste mie parole come un manifesto dedicato al coraggio.

L’immagine della coscienza compone gesti con le mani che non mi appartengono, improvvisando piccole smorfie e sfoderando un tono di voce quasi irriconoscibile, decisamente misterioso.

  • Cosa pretendi adesso coscienza, che io mi fidi di te che fai monologhi con le mie sembianze, che io riconosca come desideri repressi questi tuoi proclami telefonici?
  • Guarda il volto delle persone, non distogliere l’attenzione, riparti dalle loro storie.
  • Eh no coscienza, così non va, ho percorso incessantemente tutte le strade più affollate e non sono mai riuscito a cogliere il vero profumo di questi anni, troppe le essenze che mi confondono, che poi divengono assenze. Quale è veramente il tuo gioco?
  • Tu mi osservi nel video con occhi quasi ostili, ma fermati e lasciati andare. Non ho intenzione di venderti nulla che non abiti già nella tua mente, voglio che tu riconosca l’azione silenziosa della Provvidenza, e di tutte quelle forze che da opposte direzioni hanno contribuito a costruire la tua personalità. Voglio che tu metta all’asta pubblica le tue fragilità, per imparare a proteggerle. Voglio insinuarmi nei progetti nascenti di questa mattinata e condurli per mano a guardarsi allo specchio, per capire se sono presentabili, se sono riconoscibili dai fratelli e dalle sorelle che dovranno contribuire a realizzarli. Credi di essere pronto a dare il tuo contributo? Non prevedere la direzione del vento, inventane un’altra, prima che ti travolga.
  • A volte, è vero, rendo silenziosa la voce dello Spirito, e riesco a comprendere come sia necessario per chi si definisce la mia coscienza critica pronunciare questi discorsi appassionati, ma ecco io non saprei proprio dove cominciare per dare un contributo significativo a questo nostro tempo. Ogni iniziativa lascia la sua impronta nella storia, per quanto piccola sia, ma è difficile trasformarla in un perno fondamentale nella nostra storia personale.

Piano piano, per quanto possa sembrare assurdo soltanto a pensarlo, comincio ad abituarmi a questo dialogo, come se la proiezione di me stesso fosse una sorta di servizio, un’applicazione del telefonino, un programma scaricabile da un apposito sito internet che permette di archiviare tutti i file delle proprie emozioni e consultarli in streaming ogni volta che ve ne sia la necessità.

  • Apri la finestra, affacciati subito e concentrati sulla luce del giorno. Cosa vedi oltre i raggi del sole? Palazzi? Gente che si affanna a costruire la propria giornata? Teste chine schermate da larghi cappelli con il passo svelto per sfuggire alla chiacchiera involontaria? Mettiamo in campo una strategia per riuscire nell’impresa.
  • Per decidere una strategia, cara coscienza, devo comprendere prima la mia vocazione.
  • Perfetto, ed è qui che io entro in campo.
  • Coscienza, per prima cosa voglio dirti che non ho intenzione di coinvolgere in questo processo l’ambiente esterno, quello che mi hai mostrato al di fuori della finestra per intenderci. Voglio che maturi tra di noi, che sia cullato tra queste mura.
  • Arriverai anche a interrogare la luce che avvolge la tua casa, non puoi evitarlo. Tu mi parli ora di vocazione e non è un caso. Chinati allora ad ascoltarla dal basso questa voce, e i sussurri di tutto ciò che hai imparato a donare gratuitamente, con il cuore limpido, è lì che troverai un rifugio sicuro da cui ripartire.
  • Coscienza come puoi chiedermi di ripartire dai gesti più semplici, io cerco una chiave complessa per interpretare i nuovi giorni che ci attendono, un criterio filosofico ambizioso per plasmare le correnti culturali, renderle riconoscibili prima che si dissolvano.
  • Il flusso delle tue parole va ora nella direzione giusta, perché l’indignazione è già un primo passo verso la creazione.

Questa sorta di comparsa digitale, con il passare dei minuti, tende gradualmente a muoversi in una maniera più somigliante a quella che riconosco come mia, ad aggrottare le sopracciglia in un modo tale da richiamare alla mente un’immagine familiare, a contorcere le labbra fino a esasperare alcuni atteggiamenti che ricordo di avere già notato su vecchie fotografie.

Nel frattempo, nel bel mezzo della discussione, un imprevisto osa distogliermi da questa incredibile avventura. L’altoparlante del cellulare inizia timidamente a emettere i primi segnali di insufficienza della batteria, come se fossero suoni provenienti da un pianeta lontano che annunciano qualcosa d’importante, un pericolo imminente.

  • Ti parlerò della bellezza, ancora una volta forse nella tua vita, che scaturisce il più delle volte dalla leggerezza. L’umanità non può vivere senza la bellezza, e in questa prospettiva un’idea che insegue il bello deve subito prendere atto della natura dell’oggetto del desiderio, ovvero del suo essere completamente e rigorosamente inutile. Il percorso è pieno di ostacoli ma gli effetti benefici si percepiscono già al primo respiro, nell’atto di divenire mediatori tra il cielo e la terra, nel ricevere in dono la possibilità di creare tutto il bello di cui siamo capaci.
  • Devo confessare, coscienza mia, di provare in questo momento una emozione indescrivibile…
  • Aperto dunque il sipario su questa tua vocazione non resta che costruire scenari di vera libertà, che conducono verso l’alto, non verso il basso di alcuni istinti che sfigurano il volto e della rassegnazione che stordisce la gioia.
  • Cosa devo fare per prima, coscienza? Da dove inizio? Mi sento come un vulcano che sta per esplodere, che sta per lanciare i lapilli incandescenti verso l’orizzonte non troppo lontano di questa bellezza, dimenticata, oltraggiata, sfregiata dalle ossessioni economiche, dai frutti avvelenati di un tempo amaro del quale siamo tutti protagonisti.
  • Scendi lungo i sentieri della città per dare conforto ai passanti, non indugiare oltre.

Continuando a tenere accesa la scintilla della conversazione, con la mano libera dal telefono infilo maldestramente il cappotto e d’un tratto riesco ad atterrare giù sul marciapiede. Lo scenario che si presenta davanti ai miei occhi è diverso da quello della finestra.

  • Guarda tutta questa gente, ha avuto il coraggio di vestirsi da poeta per fare qualsiasi cosa, per riscattare il mondo dal grigiore dei passi sull’asfalto, per non arrendersi ai venditori di tenebre.
  • Vedi anche tu, coscienza, una nonna con i nipotini sul terrazzo in cima al palazzo di fronte? Sta mostrando loro il quartiere da un punto di vista inconsueto, e si diverte a leggere fiabe indicando direttamente le nuvole! Vedo inoltre un mendicante disposto a elargire ampi sorrisi in cambio di un’offerta; un funzionario in piedi agli angoli delle strade intento a spiegare ai giovani come infarcire di meraviglia il proprio curriculum; un artigiano che racconta commosso ai nuovi clienti tutta la vita imprigionata nei singoli particolari di ogni suo lavoro.
  • Tutti aspettavano il risveglio, erano in attesa di un segnale da quella finestra che non si apriva.
  • E ora, coscienza? Sarò capace di cercare sempre la bellezza, di farne uno stile di vita agli inizi di questo decennio?
  • Hai già pronto un grande rimedio, credimi, ed è la capacità di riconoscerla. Adesso declinala in tutte le sue forme, non deturparla con scelte di convenienza, non disperderla tra le miserie dei nostri bisogni.

Negli ultimi istanti l’interlocutore appare sempre più somigliante, uniformandosi ormai al modo di parlare e al timbro della mia voce, tanto da sembrare quasi un riflesso di pensieri mai detti. Riconosco sullo schermo gli incroci delle vie appena superati, i semafori, le vetrine dei negozi alle mie spalle, e tutto questo mentre alcuni suoni decisi, intensi e ravvicinati annunciano l’ormai imminente esaurimento della batteria.

  • Bene, il tempo delle nostre parole sta per terminare e ho da mostrarti ancora una cosa. Guarda il tuo stesso volto riflesso, a chi vuoi veramente che somigli? Davanti ai tuoi occhi stanno per prendere vita due alternative, l’una che indaga l’infelicità senza oltrepassarla, l’altra che ricerca in essa un antidoto alla disperazione con cui affrontare la giornata successiva. L’approdo naturale di questa seconda opzione consiste nell’alzare gli occhi al cielo e nel tentare di capire cos’è che inchioda i nostri piedi al suolo, se è per noi fonte di soddisfazione oppure solamente uno dei tanti strumenti di distrazione. E da qui che devi ripartire fiducioso, io tornerò ad annusare la vita dalla finestra.
  • Coscienza mia, tra qualche istante non riuscirò più a vederti, mi basterà imparare ad ascoltarti. Sappi però che non mi sento più solo in questa strada affollata…

Il video si è spento. Coraggio, si comincia.

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Immagine: Gustave Caillebotte, Giovane uomo alla finestra, 1875 – Collezione privata.

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